domenica 25 giugno 2017

Lettere ad un adulto mai nato (di Margherita Cerniglia)

Ammesso che non siano leggende da social o fake news, come le chiamano, se ne potrebbe davvero ricavare una raccolta antologica dal titolo "Lettere ad adulti mai nati", a cura (premurosa) di Madri o Zie Fallaci!
Parlo delle notizie di parenti prodighe nel fornire aiuti sottobanco a nipoti o figli impegnati nelle prove d'esame. La zia che ha confessato l'aiuto fornito al nipote durante la prova di italiano, accusando poi di inadeguata sorveglianza quei prof  "ciechi"  a suo dire di fronte a quanto stava accadendo. O il caso della madre prof, la cui materna "professionalità" andrebbe sconfessata proprio per quegli aiuti dati al  figlio il quale, però, è  stato bocciato; ma ha fatto ricorso e pertanto rifarà l'esame! E nella patria dei ricorsi chissà che non lo vinca! E vogliamo parlare della "lettera ad un figlio bocciato", comparsa sul giornale di Brescia e che ha spopolato sul web in queste settimane? Certo è
che il quadro clinico di certa genitorialità che si incontra e si scontra con il mondo della scuola è ormai sempre più allarmante.
Mi chiedo se la maternità o il legame parentale in alcuni casi non abbia qualcosa di patologico nel suo manifestarsi in queste forme.  E ciò  non solo alla luce di queste storie diventate grazie ai social più popolari, ma anche per le tante, ma proprio tante storie di mamme- soprattutto mamme-  "leonesse", agguerrite sostenitrici della propria prole, che, però, di leonino avrà poco o niente! L'amore si sa rende cieco talora chi lo prova: qui a diventare incapaci di vedere pur vedendo  sono anche  quelle "povere" creature di cui pullulerà il mondo!
È così difficile, mi chiedo, far sì che i figli  camminino sulle proprie gambe, specie da un certo punto in avanti, che imparino a cadere e che vengano semmai aiutati a rialzarsi piuttosto che a puntare il dito contro il compagno o l'amico che a differenza sua non è ancora caduto? È così difficile insegnare ai figli che anche le sedie sono degne di accogliere le loro chiappe e non per forza  i troni sui quali certe madri se li immaginano assisi? È così difficile insegnare ai propri figli  che la vita non è tutta un talent né un podio su cui a tutti i costi bisogna salire? Si può anche gareggiare senza vincere, ma non per questo sentirsi solo dei perdenti nella vita.Ognuno ha i propri traguardi, d'altronde: non ne esiste uno uguale per tutti!
Che male c'è nell'insegnare ai figli a riconoscere l'errore, ad ammetterlo, anziché ad aggirarlo, a riconoscere i meriti altrui anziché invidiarli? Insegnare che ciò che è successo per uno non è detto che possa esserlo per tutti: anche l'accettazione dei propri limiti è un successo!
Certo è che prima di insegnarlo ai nostri figli, dovremmo averlo imparato noi ... adulti o presunti tali.