venerdì 24 aprile 2020

La sedia di Mecu

L'immagine con cui si apre questo post è quella che rimanda al titolo dello stesso. Essa si trova alla voce "Strage di Barbania" dell'enciclopedia online Wikipedia. L'immagine è di proprietà del professore Mimmo Antinietti, docente di Lettere da anni in pensione della allora scuola media di Balangero, esperto di storia contemporanea del territorio e volontario presso il Centro di Documentazione "Nicola Grosa" di Lanzo T.se. È lì, nella sede del Centro che dal 2007 si trova in via Usseglio 6, che la sedia di Mecu si trova. Ed è lì che con i miei ragazzi di quella che nel 2016/2017 era la mia III C di Lanzo, noi la vedemmo per la prima volta, la mattina del 21 aprile 2017. Sotto la sapiente guida del professor Antonietti in quell'occasione visitammo i locali del Centro e assistemmo ad una interessante lezione di storia sulla Resistenza nelle Valli tenuta dal professore Antonietti presso la piccola sala conferenza del secondo piano del Centro. Il professore ci raccontò tante storie, partendo da quella del comandante Nicola Grosa, cui il Centro è dedicato, passando alla storia di Ines Poggetto, maestra, staffetta partigiana, figura assai attiva nella vita socio-politico-culturale della comunità lanzese e grazie alla quale il Centro nel 1985 nacque ufficialmente. Il professore ci raccontò la storia degli IMI (Internati Militari Italiani), più di 600.000 soldati che vennero deportati dai tedeschi in Germania e in Austria dopo l'annuncio dell'armistizio dell'8 settembre 1943. Ci raccontò dei tanti rastrellamenti che dal gennaio del   '44 a giugno dello stesso anno vennero, quasi mensilmente, compiuti a Lanzo dove si susseguirono molte formazioni repubblicane e naziste tra cui SS italiane e dove, proprio lungo via Usseglio al numero 26, sorse poi un posto di blocco di SS ivi installatosi dopo quella che fu la cosiddetta "battaglia di Lanzo" del 26 giugno 1944, quando arrivarono i primi contingenti tedeschi in collegio salesiano. Tanti nomi e cognomi che risuonano forse più familiari soprattutto a chi è nato e cresciuto da queste parti: come quello di Natale Rolando, detto Rolandino, comandante partigiano; Giuseppe Morino detto Clotu che a soli 22 anni insieme all'amico Giovanni Battista Paoluzzi di Udine, ospite presso il Morino e di due anni più giovane, morirono nella battaglia di Lanzo per aver tentato l'assalto ai mezzi corazzati nemici: furono entrambi colpiti dalle schegge di una granata nemica che li fece saltare in aria per via dell'esplosivo che i due ragazzi portavano nel loro tascapane. E poi altre storie, altri nomi che, qualche giorno dopo quel 21 aprile, cercai di riordinare in uno scritto che volli rimanesse a mia memoria, dei miei ragazzi, che contribuirono a scriverlo, ed anche a memoria per le mie future classi, con cui torno a condividerlo. Da lì oggi ho attinto per scrivere questo post e per raccontare la storia della sedia di Mecu che di quello scritto rappresenta la parte finale. 
Quando misi per iscritto il mio racconto di quella mattinata trascorsa con il professore Antonietti e la mia terza C, ne inviai copia al professore perché rileggesse il tutto e intervenisse là dove avevo omesso o detto male ciò che lui ci aveva raccontato. Il mio racconto ebbe perciò più valore quando il professor Antonietti mi disse che andava bene.♥️
Ed oggi, come allora, gli invierò il link a questo post: sarà un modo per augurargli buon 25 aprile attraverso lo splendido ricordo che di lui e delle sue conoscenze conservo. 
Ed ora la sedia di Mecu.
La visita della terza C si concluse al primo piano del Centro di documentazione, dove al termine della lezione di storia, la nostra guida mostrò ai ragazzi alcuni cimeli del periodo bellico e della Resistenza ivi conservati. E l'oggetto che più di altri colpì l' attenzione dei giovanissimi visitatori fu proprio quella sedia, così come la si vede nella foto ad apertura di questo post. E la storia che il professor Antonietti loro narrò.
Domenico Caporossi aveva 17 anni quando su quella sedia avvenne la sua esecuzione il 21 febbraio del '45, sulla piazza principale di Barbania in occasione  della omonima strage.  Giovanissimo partigiano, Domenico era stato arrestato proprio a Ciriè il 17 febbraio e sottoposto a tante ore di torture in seguito alle quali, nonostante la sua giovanissima età, non gli fu più possibile stare in piedi. Su quella sedia venne perciò trasportato a Barbania, dove avvenne la sua esecuzione insieme a quella di altre nove persone. Su quella sedia oggi al Centro c'è la foto di Domenico, che con i nostri ragazzi abbiamo ribattezzato "Mecu", ma il cui nome di battaglia era Miguel♥️. E accanto alla foto c'è la trascrizione della lettera che Domenico scrisse alla madre, prima di morire, sul retro di una busta. Dopo che il 21 aprile del 2017 il professor Antonietti ebbe raccontato ai ragazzi la storia di Domenico e di quella sedia, chiesi ad uno dei miei ragazzi di leggerla. Giorgio G. si offrì di farlo e non senza commozione così lesse:"Cara Mamma Vado a morire, ma da partigiano, col sorriso sulle labbra ed una fede nel cuore. Non star malinconica io muoio contento. Saluta amici e parenti ed un forte abbraccio e bacioni al piccolo Imperio e Ilenio e il Caro Papà, e nonna e nonno e di ricordarsene sempre. Ciau Vostro Figlio Domenico". 
Per Domenico, per tanti che come lui scelsero e combatterono a favore della loro scelta per regalarci quella libertà di cui godiamo ancora oggi, è necessario festeggiare il 25 aprile, ricordare le storie, tante, di chi quel 25 aprile ha contribuito a farlo, perché conoscerle e trasmetterle ad altri è cercare di insegnare a possedere alti ideali di libertà, per difendere i quali è necessario combattere.
Buon 25 aprile♥️

venerdì 10 aprile 2020

L'onnIMpotenza

Leggendo, penso e talora mi viene voglia di scrivere. Polpettoni  di pensieri, come quello nella cui preparazione è specializzata la mamma di Margherita Dolcevita, dell'omonimo romanzo di Stefano Benni. Così prima, ripensando ai dialoghi tra Nick Belane, protagonista di "Pulp", e la sua principale interlocutrice, la Signora Morte, il personaggio bukowskiano mi ha fatto venire in mente la parola "onnIMpotenza" , 
cui sento assimilabile l'umana e collettiva esperienza che stiamo sperimentando. Siamo tutti diventati improvvisamente impotenti di fronte a ciò che prima potevamo. Ognuno secondo le proprie possibilità e neppure in ogni parte del mondo. 😥
Potere, tra gli altri suoi fratelli servili, dovere e volere, per sua natura comanda. Ed è proprio in questi giorni di "onnIMpotenza" che la sua assenza mi porta a pensare alla sua importanza, alla sua potenza appunto. Perché tutto ciò che vorrei, ad esempio, passa per ciò che non posso più fare.
 Tutti sappiamo di essere impotenti di fronte a certi aspetti dell'umana natura: il dolore, la morte, le malattie, la vecchiaia propri o altrui sono le esperienze comuni all'umana impotenza. Che ora, tutti allo stesso tempo stiamo sperimentando, alcuni più da vicino rispetto ad altri, ma tutti sentendoli a noi più vicini. 
La paura di ammalarci e perché no di morire, di vedere morire chi è anziano ma che non saremmo ancora pronti a salutare, il dolore per chi questa perdita l'ha vissuta in queste settimane, ci hanno resi tutti onnIMpotenti. E poi chi di noi non ha paura di invecchiare, di diventare più fragile in un mondo nel quale i nostri figli ci appaiono oggi troppo fragili loro per poterlo affrontare? Io ne ho tanta. Le guerre, le grandi guerre del XX secolo, hanno forse lasciato queste ferite dentro chi le ha vissute. Pensavo a Liliana Segre, prima, ai pochi ancora superstiti all'orrore dei lager: ai loro pensieri in questi giorni sospesi, tristi, lontani da chi vorremmo vicino, giorni in cui le paure tornano a riaprire ferite vecchie, a far riaffiorare traumi passati♥️
Mentre scrivo, sono fuori, all'aria aperta ma chiusa dello spazio minuscolo qual è il balconcino della mia camera da letto, eletto a mio "ermo colle" in queste settimane. La balaustra che "da ogni parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude"  è diventata la mia siepe. Qui mi ritiro per poche ore pomeridiane nei weekend quando stacco dalla Dad; qui trascorrerò questi giorni di vacanze almeno nelle poche ore di solitudine postprandiale  che a vicenda io e Luca ci regaliamo, occupandoci di Celeste alternativamente in questa parte  del giorno. Prima lui e poi io. È il nostro reciproco regalo♥️ Abbiamo da sempre concesso l'uno all'altra uno spazio personale dentro il nostro essere "noi", quello che io dedico ai miei libri, allo studio in generale o alle mie passioni più giovani, come la fotografia,  e lui alla sua Musa, la musica♥️. Ed ora più che mai continuiamo a mantenerlo  in vita quello spazio, in cui prima io e poi lui, ciascuno a suo modo, ritroviamo noi stessi. Insieme ad una quotidianità che in parte si ripete da settimane ormai, mentre cerchiamo di trovare nuove strade da percorrere e nuovi stimoli da trasmettere e trasmetterci.Tacitamente, però,  condividiamo  anche quel grande senso di onnIMpotenza che sembra aver travolto tutti. Perché quello che potevamo fare, ognuno secondo i propri "poteri" non c'è più. In fondo, come dice Celeste pensando ad Harry Potter e al suo magico mondo, anche noi Babbani di "poteri" ne abbiamo♥️ E come darle torto. Certo nessuno ad oggi sa dirci quando potremo tornare a riaverli, quando torneremo a riavere le nostre possibilità. Prima o poi.
E una delle prime possibilità di cui spero di appropriarmi è quella di superare la soglia del cancello di casa mia senza provare la paura che provo adesso e che pertanto mi impedisce di varcarlo.
Io non ho mai più messo un piede fuori casa dal lontano 23 febbraio e Celeste con me e anche se so che prima o poi dovrò farlo, indossando una mascherina e un paio di guanti, ad oggi non ho trovato ancora la forza di farlo. Potrà sembrare sciocco agli occhi di chi lo ha già fatto: qualcuno mi dice che "devo". Lo so, 
ma per me purtroppo non è  così facile. Si chiama paura, e ognuno scopre in questo momento di avere le proprie,  o, forse, è proprio questo momento ad avere portato a galla in ognuno le personali paure. Anche quelle che pensavamo di non poter provare.
Come scriveva qualche giorno fa il mio scrittore amico Gazzaniga, "questa lunga sospensione della vita sembra perfetta per stuzzicare i dolori, portare a galla le fragilità, denudare le persone portandole al nocciolo". Io per me  ho scoperto mie nuove fragilità e se temo il protrarsi  di un presente così sospeso è anche perché ho paura di incontrarne ancora. E non solo.
Oggi, per chi crede, è il giorno nel quale un uomo solo, le cui carni furono messe a nudo, in-caricato delle umane fragilità, degli umani dolori, sotto il cui peso è diventato più fragile e dolente,  al grido di "ηλει ηλει λεμα σαβαχθανει ", ha lasciato questo mondo. Anche Gesù, l'uomo, ha avuto paura nel momento estremo della sua giovane vita: il suo grido, "Dio mio, Dio perché mi hai abbandonato", è  il grido della sua fragilità umana. Il mistero delle sua passione, della sua morte e della sua resurrezione continua a ripetersi da duemila anni: "è la storia di un evento impossibile che pure accade", come scrive Emmanuel Carrere ne il prologo a "Il Regno". 
Oggi nell'osservare quella croce provo per la prima volta quel senso di umana onnIMpotenza che mai, come adesso, ho sentito così forte e così mia. "ηλει ηλει λεμα σαβαχθανει" è oggi più che mai un grido tutto umano, il più umano, di chi pur essendo pronto al sacrificio, sente nel momento estremo il bisogno di esternare  il suo sentirsi solo che è anche l'umano desiderio di non essere lasciato solo. Solo con le proprie paure, solo con le proprie fragilità, solo con le proprie ferite. Solo.
Quell'umana onnIMpotenza terrena oggi, dopo più di duemila anni, si ripete di nuovo, ma ha un sapore nuovo.♥️

sabato 4 aprile 2020

L'aula che (non) c'è

Se ognuno di noi fosse chiamato a fare un elenco di tutto ciò che in questo momento (?) non ha più, si ritroverebbe, stilandolo, a provare quella che Eco, in uno dei suoi saggi, chiama la "vertigine della lista". Tutti credo che porremmo in cima al nostro elenco ciò di cui per primo sentiamo la mancanza. Immaginando "elenchi di luoghi perduti" tanti avrebbero in comune proprio  quegli spazi che in quanto pubblici sono comuni a più persone. Sono questi ad oggi i luoghi che  non possiamo permetterci di abitare. E l'aula è uno di questi: lo spazio dentro al quale tanti di noi, docenti e allievi, trascorrono metà delle loro giornate. L'aula, a cui soprattutto ho dedicato questo post stamane, è uno di quei luoghi che, dalla sospensione delle attività scolastiche, non solo si è svuotata ma ha anche mutato forma o, se vogliamo, si è trasferita nel più ampio e "indeterminato spazio" della rete. Una sorta di leopardiana dimensione infinita, dentro la quale però il naufragar di certo non è affatto dolce! Se ad essere vuote oggi sono tutte le aule degli edifici scolastici del nostro Paese,  è anche vero che la maggior parte di esse ha cambiato aspetto e ubicazione, trasferendosi negli spazi virtuali che la rete offre e che hanno concesso alle aule di rinascere in forma diversa. Una sorta di "mutatis mutandis": siamo stati costretti a cambiare ciò che andava cambiato. 
Oggi gli alunni del nostro Paese, molti della primaria ma di certo tutti quelli della secondaria di primo e secondo grado, abitano nuovi spazi scolastici, ritrovandosi lì con i propri compagni e con i propri insegnanti secondo le nuove modalità che la didattica a distanza (DaD) permette di utilizzare. Ma dentro le nuove aule virtuali senza più pareti né porte di accesso che non siano link d'invito ad esse, non entrano più solo i nostri ragazzi e noi docenti che in genere ci alterniamo secondo il nostro orario, no. Siamo sempre e inevitabilmente molti di più. 
Ci sono spazi d'aula-a detta di colleghi di altre scuole che ne stanno facendo uso - nei quali ciascun docente  può visionare tutto quello che viene "postato"  da altri  docenti, perché  l'intero consiglio di classe ha un unico luogo comune nel quale condividere il materiale prodotto per i ragazzi della classe. E fin qui va anche bene...forse.  In questi casi il modo per gestire singolarmente la propria ora di lezione con gli allievi della classe è per il docente quello di fare la diretta secondo orario scolastico. Ma anche in questo caso il numero dei partecipanti può ritrovarsi ad essere assai più alto: se il docente dovesse fare l'appello per stabilire chi è veramente,o virtualmente, presente alla sua lezione non potrebbe non tenere conto nel novero di madri, padri, fratelli e sorelle la cui presenza, anche solo di passaggio, alla lezione del prof di certo non sarà quest'ultimo a poter impedire. Un docente che entra, in diretta o in differita, nelle case dei propri ragazzi per svolgere la propria lezione a distanza in questo momento, che potere ha di impedire all'intera famiglia o anche solo a qualche membro oltre allo scolaro, di assistere a ciò che da insegnante questi sta facendo? Che potere ha il docente di fare in modo che un familiare non  si sostituisca allo scolaro nel fare quanto richiestogli? Nessuno. Qual è il confine che delimita ciò che il docente fa di solito in classe con i propri ragazzi e solo con loro,  rispetto a ciò che adesso fa in compagnia loro e di chi vive sotto lo stesso tetto del proprio alunno? Quanto ciò può  inibire il docente nella sua gestione del gruppo classe? Quali problemi ci porrà- perché ce li porrà- la valutazione, seppur formativa, che avremo da stilare? Cosa staremo valutando e cosa staremo, invece , tralasciando ? E come la mettiamo con "inclusione per tutti" e "valorizzazione delle eccellenze" per alcuni? O ma saranno mica questi i problemi al momento, verrebbe da dire! Eppure la ministra Vulviolina solo ieri o l'altroieri da Repubblica lanciava proclami su "promozione per tutti", che come campagna promozionale va benissimo: motivazionale, invece, assai meno! Bisognerebbe chiederlo, però, anche ad alcuni genitori, almeno a quelli che al momento non dormono la notte e scassano i cabassisi durante il giorno sulle future valutazioni dei propri pargoli. 
Il problema di gestione dello studente, inoltre, se non si pone o molto poco nella scuola secondaria di secondo grado, perché per la maggior parte dei ragazzi il rapporto con la scuola è in genere assai più autonomo, a mano a mano che si scende di grado fino alla primaria il problema si pone eccome. Lì la gestione del ragazzino o, peggio ancora del bambino, necessita spesso anche  della collaborazione del genitore. Dalla accensione del mezzo con cui il ragazzo o il bambino "entrerà in aula", alla sorveglianza dello stesso durante la lezione, per i più svariati motivi, allo svolgimento dei compiti,  il genitore- chi più chi meno- si sentirà in dovere (?) di intervenire. E magari di condividere i propri interventi in quei ruttodromi, come li chiama Gramellini,  che sono i gruppi watsapp. In che modo, però, la partecipazione del familiare oltrepassa spesso i confini che non gli sarebbe permesso oltrepassare? Non possiamo dimenticare che tra le tante tipologie genitoriali, la specie umana pullula di genitori che tutelano sempre e solo i propri interessi, loro e della propria prole. E in questo momento ciò espone noi docenti per l'ennesima volta a massicce ingerenze nel nostro lavoro: chi ci tutela? Ci sono circolari che stabiliscono modalità e tempi dell'interazione con ragazzi e famiglie, e che in alcune scuole più che in altre stanno influendo pesantemente sulla qualità del  lavoro docente, ledendo la possibilità da parte dello stesso di esercitare al meglio un proprio grande diritto che sebbene ci appartenga, facciamo dannatamente sempre più fatica ad esercitare: la "libertà di insegnamento". 
Mi si potrà obiettare a quest'affermazione sostenendo che ci sono anche docenti i quali, in questo momento, non si stanno forse mostrando all'altezza del proprio compito, limitandosi pertanto ad assegnare solo compiti. Probabilmente sì: e risponderanno loro, semmai, del loro lacunoso lavoro a chi dovranno. Di certo, però, tra i tantissimi colleghi che da nord a sud conosco e con i quali interagisco spessissimo in questo momento, mi arrivano racconti che somigliano molto a quelli che potrei scrivere io già da settimane nelle quali 18 ore le supero in due sole giornate, nelle quali i sabati e le domeniche mi si scrive e mi si telefona, e mi si scassano i cabbasisi per ogni questione di lana caprina sopraggiunta. Settimane nelle quali la mia vista ne sta notevolmente risentendo, la mia schiena non ne parliamo. Settimane nelle quali la qualità della mia vita  individuale e familiare, il mio essere anche madre e donna in questo momento viene dopo l'essere soprattutto insegnante. Che alcuni sostengono sia una missione, io ritengo sia un lavoro come altri con tempi e orari che vorrei fossero anche ora più stabili e meno flessibili. E cosa ancora più amara è che dall'alto dell'Olimpo ministeriale non arrivano ad oggi né regole chiare e 
condivisibili per tutti né tempi né modi legati ad una chiusura dell'anno scolastico che prima o poi dovrà giungere. E che non so come raggiungeremo.
Circolano scenette anche assai esilaranti sull'interazione scuola famiglia ai tempi della didattica a distanza. La quale, per quanto doverosa sia in questo momento di epocale portata, non deve e non può farci dimenticare  che la scuola arriva da anni di ingerenze genitoriali massicce sul piano della didattica e non solo. I genitori di oggi (non tutti, ma in buona parte) si sentono ormai investiti, non si sa a che titolo, ad intervenire di continuo su molti aspetti che sarebbe vertiginosamente lungo elencare qui. E quello che nel gergo scolastico si chiama "patto di corresponsabilità tra scuola e famiglia" si traduce il più delle volte in un alternarsi di dichiarazioni  di guerra ai danni di scuola e/o dei singoli docenti accusati di colpe e caricati di responsabilità che in molti casi andrebbero più correttamente vagliate e distribuite. Ma ci vorrebbe, come diceva sempre un mio caro insegnante, quello che in siciliano si chiama "u crivu", il setaccio o vaglio: la parola dialettale deriva più direttamente da una lingua a me cara, il greco, e in particolare dal verbo "krino" che significa appunti "cernere, vagliare, separare". Ecco separare, appunto! 
Ora separare, stabilire i confini tra ciò che è aula e ciò che non lo è, diventa ancora più difficile, se non addirittura impossibile. 
Io non so quando tutto questo finirà e, soprattutto, come finirà. So che ci attendono scenari poco rassicuranti sul piano socioeconomico e culturale dai cui effetti la scuola è già stata investita in pieno. E se ancora si profilano arcobaleni all'orizzonte con su scritto che tutto andrà bene, beh io di arcobaleni su scuole e ospedali non ne vedo né mi interessa vederne. Vedo piuttosto macerie, grandi come i danni fatti alla sanità e alla scuola in questi anni e dei quali neanche questa volta nessuno risponderà. Macerie che non sarà certo facile rimuovere, specie in un Paese come il nostro dalla lingua tanto lunga, dalla memoria tanto corta e dalle asce sempre più affilate che cadranno come sempre sulle teste dei più disgraziati. Lavoratori che nonostante tutto in questo momento sono chiamati ad una forma di resistenza estrema negli sconfinati reparti degli ospedali e nelle altrettante sconfinate aule che (non) ci sono.