sabato 4 aprile 2020

L'aula che (non) c'è

Se ognuno di noi fosse chiamato a fare un elenco di tutto ciò che in questo momento (?) non ha più, si ritroverebbe, stilandolo, a provare quella che Eco, in uno dei suoi saggi, chiama la "vertigine della lista". Tutti credo che porremmo in cima al nostro elenco ciò di cui per primo sentiamo la mancanza. Immaginando "elenchi di luoghi perduti" tanti avrebbero in comune proprio  quegli spazi che in quanto pubblici sono comuni a più persone. Sono questi ad oggi i luoghi che  non possiamo permetterci di abitare. E l'aula è uno di questi: lo spazio dentro al quale tanti di noi, docenti e allievi, trascorrono metà delle loro giornate. L'aula, a cui soprattutto ho dedicato questo post stamane, è uno di quei luoghi che, dalla sospensione delle attività scolastiche, non solo si è svuotata ma ha anche mutato forma o, se vogliamo, si è trasferita nel più ampio e "indeterminato spazio" della rete. Una sorta di leopardiana dimensione infinita, dentro la quale però il naufragar di certo non è affatto dolce! Se ad essere vuote oggi sono tutte le aule degli edifici scolastici del nostro Paese,  è anche vero che la maggior parte di esse ha cambiato aspetto e ubicazione, trasferendosi negli spazi virtuali che la rete offre e che hanno concesso alle aule di rinascere in forma diversa. Una sorta di "mutatis mutandis": siamo stati costretti a cambiare ciò che andava cambiato. 
Oggi gli alunni del nostro Paese, molti della primaria ma di certo tutti quelli della secondaria di primo e secondo grado, abitano nuovi spazi scolastici, ritrovandosi lì con i propri compagni e con i propri insegnanti secondo le nuove modalità che la didattica a distanza (DaD) permette di utilizzare. Ma dentro le nuove aule virtuali senza più pareti né porte di accesso che non siano link d'invito ad esse, non entrano più solo i nostri ragazzi e noi docenti che in genere ci alterniamo secondo il nostro orario, no. Siamo sempre e inevitabilmente molti di più. 
Ci sono spazi d'aula-a detta di colleghi di altre scuole che ne stanno facendo uso - nei quali ciascun docente  può visionare tutto quello che viene "postato"  da altri  docenti, perché  l'intero consiglio di classe ha un unico luogo comune nel quale condividere il materiale prodotto per i ragazzi della classe. E fin qui va anche bene...forse.  In questi casi il modo per gestire singolarmente la propria ora di lezione con gli allievi della classe è per il docente quello di fare la diretta secondo orario scolastico. Ma anche in questo caso il numero dei partecipanti può ritrovarsi ad essere assai più alto: se il docente dovesse fare l'appello per stabilire chi è veramente,o virtualmente, presente alla sua lezione non potrebbe non tenere conto nel novero di madri, padri, fratelli e sorelle la cui presenza, anche solo di passaggio, alla lezione del prof di certo non sarà quest'ultimo a poter impedire. Un docente che entra, in diretta o in differita, nelle case dei propri ragazzi per svolgere la propria lezione a distanza in questo momento, che potere ha di impedire all'intera famiglia o anche solo a qualche membro oltre allo scolaro, di assistere a ciò che da insegnante questi sta facendo? Che potere ha il docente di fare in modo che un familiare non  si sostituisca allo scolaro nel fare quanto richiestogli? Nessuno. Qual è il confine che delimita ciò che il docente fa di solito in classe con i propri ragazzi e solo con loro,  rispetto a ciò che adesso fa in compagnia loro e di chi vive sotto lo stesso tetto del proprio alunno? Quanto ciò può  inibire il docente nella sua gestione del gruppo classe? Quali problemi ci porrà- perché ce li porrà- la valutazione, seppur formativa, che avremo da stilare? Cosa staremo valutando e cosa staremo, invece , tralasciando ? E come la mettiamo con "inclusione per tutti" e "valorizzazione delle eccellenze" per alcuni? O ma saranno mica questi i problemi al momento, verrebbe da dire! Eppure la ministra Vulviolina solo ieri o l'altroieri da Repubblica lanciava proclami su "promozione per tutti", che come campagna promozionale va benissimo: motivazionale, invece, assai meno! Bisognerebbe chiederlo, però, anche ad alcuni genitori, almeno a quelli che al momento non dormono la notte e scassano i cabassisi durante il giorno sulle future valutazioni dei propri pargoli. 
Il problema di gestione dello studente, inoltre, se non si pone o molto poco nella scuola secondaria di secondo grado, perché per la maggior parte dei ragazzi il rapporto con la scuola è in genere assai più autonomo, a mano a mano che si scende di grado fino alla primaria il problema si pone eccome. Lì la gestione del ragazzino o, peggio ancora del bambino, necessita spesso anche  della collaborazione del genitore. Dalla accensione del mezzo con cui il ragazzo o il bambino "entrerà in aula", alla sorveglianza dello stesso durante la lezione, per i più svariati motivi, allo svolgimento dei compiti,  il genitore- chi più chi meno- si sentirà in dovere (?) di intervenire. E magari di condividere i propri interventi in quei ruttodromi, come li chiama Gramellini,  che sono i gruppi watsapp. In che modo, però, la partecipazione del familiare oltrepassa spesso i confini che non gli sarebbe permesso oltrepassare? Non possiamo dimenticare che tra le tante tipologie genitoriali, la specie umana pullula di genitori che tutelano sempre e solo i propri interessi, loro e della propria prole. E in questo momento ciò espone noi docenti per l'ennesima volta a massicce ingerenze nel nostro lavoro: chi ci tutela? Ci sono circolari che stabiliscono modalità e tempi dell'interazione con ragazzi e famiglie, e che in alcune scuole più che in altre stanno influendo pesantemente sulla qualità del  lavoro docente, ledendo la possibilità da parte dello stesso di esercitare al meglio un proprio grande diritto che sebbene ci appartenga, facciamo dannatamente sempre più fatica ad esercitare: la "libertà di insegnamento". 
Mi si potrà obiettare a quest'affermazione sostenendo che ci sono anche docenti i quali, in questo momento, non si stanno forse mostrando all'altezza del proprio compito, limitandosi pertanto ad assegnare solo compiti. Probabilmente sì: e risponderanno loro, semmai, del loro lacunoso lavoro a chi dovranno. Di certo, però, tra i tantissimi colleghi che da nord a sud conosco e con i quali interagisco spessissimo in questo momento, mi arrivano racconti che somigliano molto a quelli che potrei scrivere io già da settimane nelle quali 18 ore le supero in due sole giornate, nelle quali i sabati e le domeniche mi si scrive e mi si telefona, e mi si scassano i cabbasisi per ogni questione di lana caprina sopraggiunta. Settimane nelle quali la mia vista ne sta notevolmente risentendo, la mia schiena non ne parliamo. Settimane nelle quali la qualità della mia vita  individuale e familiare, il mio essere anche madre e donna in questo momento viene dopo l'essere soprattutto insegnante. Che alcuni sostengono sia una missione, io ritengo sia un lavoro come altri con tempi e orari che vorrei fossero anche ora più stabili e meno flessibili. E cosa ancora più amara è che dall'alto dell'Olimpo ministeriale non arrivano ad oggi né regole chiare e 
condivisibili per tutti né tempi né modi legati ad una chiusura dell'anno scolastico che prima o poi dovrà giungere. E che non so come raggiungeremo.
Circolano scenette anche assai esilaranti sull'interazione scuola famiglia ai tempi della didattica a distanza. La quale, per quanto doverosa sia in questo momento di epocale portata, non deve e non può farci dimenticare  che la scuola arriva da anni di ingerenze genitoriali massicce sul piano della didattica e non solo. I genitori di oggi (non tutti, ma in buona parte) si sentono ormai investiti, non si sa a che titolo, ad intervenire di continuo su molti aspetti che sarebbe vertiginosamente lungo elencare qui. E quello che nel gergo scolastico si chiama "patto di corresponsabilità tra scuola e famiglia" si traduce il più delle volte in un alternarsi di dichiarazioni  di guerra ai danni di scuola e/o dei singoli docenti accusati di colpe e caricati di responsabilità che in molti casi andrebbero più correttamente vagliate e distribuite. Ma ci vorrebbe, come diceva sempre un mio caro insegnante, quello che in siciliano si chiama "u crivu", il setaccio o vaglio: la parola dialettale deriva più direttamente da una lingua a me cara, il greco, e in particolare dal verbo "krino" che significa appunti "cernere, vagliare, separare". Ecco separare, appunto! 
Ora separare, stabilire i confini tra ciò che è aula e ciò che non lo è, diventa ancora più difficile, se non addirittura impossibile. 
Io non so quando tutto questo finirà e, soprattutto, come finirà. So che ci attendono scenari poco rassicuranti sul piano socioeconomico e culturale dai cui effetti la scuola è già stata investita in pieno. E se ancora si profilano arcobaleni all'orizzonte con su scritto che tutto andrà bene, beh io di arcobaleni su scuole e ospedali non ne vedo né mi interessa vederne. Vedo piuttosto macerie, grandi come i danni fatti alla sanità e alla scuola in questi anni e dei quali neanche questa volta nessuno risponderà. Macerie che non sarà certo facile rimuovere, specie in un Paese come il nostro dalla lingua tanto lunga, dalla memoria tanto corta e dalle asce sempre più affilate che cadranno come sempre sulle teste dei più disgraziati. Lavoratori che nonostante tutto in questo momento sono chiamati ad una forma di resistenza estrema negli sconfinati reparti degli ospedali e nelle altrettante sconfinate aule che (non) ci sono.

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