venerdì 22 luglio 2016

Diario partigiano" di Ada Gobetti, una donna della Resistenza.

Ada Gobetti è l'autrice di "Diario partigiano", lettura alla quale mi sono dedicata nella prima decade di luglio.
La narrazione prende l'avvio dal pomeriggio del 10 settembre del '43, due giorni dopo l'occupazione militare del paese da parte dei tedeschi, che da alleati degli italiani in guerra -dal '40 al '43- ne diventano  nemici in seguito alla firma da parte di questi ultimi   dell'"armistizio" (una "resa senza condizioni")  con gli angloamericani. L'accordo con coloro  che da allora in poi verranno chiamati Alleati, fu firmato il 3 settembre a Cassibile, località siciliana nei pressi di Siracusa,  e  venne reso noto l'8 settembre,  prima attraverso Radio Algeri per bocca del generale inglese Eisenhower e, circa un'ora più tardi, dai microfoni dell'EIAR  da Pietro Badoglio, maresciallo al quale il re Vittorio Emanuele III aveva affidato il governo militare del paese, dopo che nel luglio dello stesso anno Mussolini era stato destituito dallo stesso Gran Consiglio del Fascismo.
Così scrive Ada all'inizio del suo racconto:" Capivo, pur confusamente, che s'iniziava per noi un periodo grave e difficile, in cui avremmo dovuto agire e lottare senza pietà e senza tregua, assumendo responsabilità, affrontando pericoli d'ogni sorta. Tutto questo personalmente non mi spaventava; il mio ideale di bambina, di adolescente - e in fondo in fondo, ahimè, anche di persona adulta - non era stata forse "la piccola vedetta lombarda"?".
"Confusamente" è  parola che torna di nuovo in una delle pagine finali dell'opera, poco dopo la liberazione di Torino del 28 aprile 1945:
"Confusamente intuivo però che incominciava un'altra battaglia: più lunga, più difficile, più estenuante, anche se meno cruenta. Si trattava ora non più di combattere contro la prepotenza, la crudeltà e la violenza, - facili da individuare e da odiare, - ma contro interessi che avrebbero cercato subdolamente di risorgere, contro abitudini che si sarebbero presto riaffermate, contro pregiudizi che non avrebbero voluto morire: tutte cose assai più vaghe, ingannevoli e sfuggenti. E si trattava inoltre di combattere tra di noi e dentro noi stessi, non per distruggere soltanto, ma per chiarire, affermare, creare; per non abbandonarci alla comoda esaltazione di ideali per tanto tempo vagheggiati, per non accontentarci di parole e di frasi, ma rinnovarci tenendoci "vivi" [...] Sapevo che saremmo stati in molti a combattere questa  dura battaglia: gli amici, i compagni di ieri, sarebbero stati anche quelli di domani. Ma sapevo anche che la lotta non sarebbe stato un unico sforzo, non avrebbe avuto più un unico, immutabile volto; ma si sarebbe frantumata in mille forme, in mille aspetti diversi [...] Tutto questo mi faceva paura. E a lungo in quella notte mi tormentai, chiedendomi se avrei saputo essere degna di questo avvenire, ricco di difficoltà e di promesse, che m'accingevo ad affrontare con trepidante umiltà".
Tra la confusa percezione di ciò che attende il nostro paese nel settembre del '43 e la trepidante attesa di quel che l'Italia sarà dopo il 1945, ci sono l'agire e gli attori di quei venti mesi di lotta, di quella  “guerra per bande” che, come scrive Alberto Cavaglion nel suo saggio La Resistenza spiegata a mia figlia appare la "definizione più appropriata per quella guerriglia confusa che si propone di rendere precario il controllo nazifascista del territorio, che organizza puntate offensive verso installazioni o presidi, sabotaggi alle comunicazioni o azioni mirate a destabilizzare in specie le amministrazioni fasciste (requisizione di grano o di bestiame)."
E Ada Gobetti chi è stata? 
Si chiamava  Ada Prospero da nubile, era torinese, nata nel 1902 da padre svizzero e madre d'origine slava. Ada Prospero è, però, meglio conosciuta come  Ada Gobetti, dal cognome dell'uomo che ella sposò nel 1923 e del quale fu, prima ancora che sposa, collaboratrice intelligente delle sue lotte e iniziative: Piero Gobetti, pensatore e politico torinese.
Ada e Piero si erano conosciuti al liceo che entrambi frequentavano, il liceo classico "V.Gioberti" di Torino nel 1916. Con Piero Ada aveva condiviso il sogno di una "rivoluzione liberale", nome dato anche ad una rivista pubblicata a partire dal 1922, con  l'intento  "di venire formando una classe politica che abbia chiara coscienza delle sue tradizioni storiche e delle esigenze sociali nascenti dalla partecipazione del popolo alla vita dello Stato". Piero Gobetti fu uno dei più convinti nemici del fascismo sin da subito: in un telegramma del 1924 Mussolini ordinava perciò al prefetto di Torino di «rendere la vita difficile a Piero Gobetti, insulso oppositore del governo e del fascismo». La prefettura su ordine di Mussolini fece sospendere la pubblicazione di "Rivoluzione liberale" nel 1925. La persecuzione da parte del regime, inoltre, condusse di lì ad un anno Gobetti prima  all'esilio e poi alla morte: egli morì, infatti,  giovanissimo, nel 1926, all'età di soli 25 anni, nell'esilio parigino cui era stato costretto, dopo aver subito una violenta aggressione fisica squadrista all'uscita dalla sua casa editrice, la "Piero Gobetti editore".  Ada, vicina al marito fino alla fine, rimase perciò vedova giovane, ad appena 24 anni e con un figlio, il piccolo Paolo, nato poche settimane prima che Piero morisse. Ma la morte dell'uomo che aveva amato e ammirato non fece affatto diminuire in Ada la volontà di prendere parte alla lotta contro la dittatura fascista nella quale  è coinvolto in prima persona anche Paolo che nel '43 ha appena diciotto anni:
"Tremavo per mio figlio che vedevo lanciato così decisamente verso l'azione. Cercai di parlargliene nel pomeriggio [del 10 settembre ndr] sul terrazzo dominato dal Rocciamelone, legato al ricordo di tante ore lontane d'innocente riposo e di giochi sereni [...] Non c'era bisogno di prendere decisioni, disse. Ci avrebbe pensato la situazione stessa a dirci quel che bisognava fare. Per lui era tutto così semplice. Ma forse aveva ragione. In momenti simili parole e programmi erano inutili. Avremmo fatto giorno per giorno quel che avremmo sentito di dover fare".
La casa di Ada a Torino, in via Fabro, quello che negli anni dell'ascesa di Mussolini al potere era stato luogo di incontri per quanti  volevano contrastare il fascismo, continuò dal 10 settembre del '43 a riempirsi di gente. Gli allievi e gli amici di Gobetti si incontravano lì con nuovi antifascisti e nuovi allievi: fu, infatti, in quegli anni, quelli corrispondenti al biennio della Resistenza che quelle persone fondarono il Partito d'Azione, la cui storia fu chiara e unitaria fino alla caduta del fascismo, ma in seguito, di fronte ai nuovi problemi del dopoguerra, si divise in più rami che confluirono in altri partiti della sinistra italiana.
E  la scrittura del "Diario partigiano" da dove nasce?
 L'autrice, come si legge nell'introduzione al testo di Goffredo Fofi, curatore dell'edizione Einaudi del '72,  dichiara che la nascita del Diario è avvenuta anche grazie alle sollecitazioni ricevute dall'amico e filosofo Benedetto Croce, il quale, alla fine della guerra, quando i due si rividero, confessò ad Ada che non riusciva a rendersi conto se non in parte e male di cosa concretamente era stato il fenomeno della Resistenza e della lotta partigiana. Ada aveva preso quasi quotidianamente appunti tra il '43 e il '45, scrivendo in un inglese cifrato comprensibile solo a lei, per paura che tedeschi o fascisti potessero comprendere quanto da lei scritto se mai ne fossero venuti in possesso. Da quella sollecitazione e da quei tanti appunti nasce l'intensa narrazione del "Diario partigiano".
Ada narra, come scrive
Fofi  nella sua introduzione, con quella " [...] calda umanità, semplicità e simpatia che la portarono a capire così bene la ragioni degli altri quando negli altri sentiva una spinta morale simile alla sua, si trattasse di incolti montanari come di raffinati intellettuali."
Nel Diario trovano spazio alla pari sia note figure dell'antifascismo che uomini, donne, ragazze, operai, contadini e montanari che dopo la Resistenza tornarono in tutta semplicità al loro posto di lavoro: tanto i primi quanto i secondi furono gli attori protagonisti della Resistenza.
Il Diario  non è soltanto una descrizione del loro ammirevole valore: la narratrice posa lo sguardo tante più volte sui limiti e le contraddizioni di fatti e personaggi, rifugge da ogni sentimentalismo anche laddove i fatti narrati si fanno più tragici e servendosi semmai di un genuino senso dell'umorismo, sa mettere in risalto spesso anche particolarità e  manie di quanti parteciparono inconsapevoli alle vicende della storia di quel periodo.
Per un'antologia di "Diario partigiano"
In alternativa alla lettura integrale del Diario, per un lavoro d'aula sul tema della Resistenza si potrebbe proporre ai ragazzi una selezione di passi e  brani, una sorta di piccola antologia a tema che permetta loro di cogliere, attraverso il racconto di chi ne fu protagonista, i molti e contraddittori  aspetti di quella dura e disperata lotta.
Ho provato a farlo per servirmene in classe il prossimo anno, selezionando dall'edizione Einaudi del '72   alcune pagine del Diario, facendole opportunamente precedere da un titolo cerniera che  guidi il giovane lettore nel passaggio da un brano all'altro: ne è venuta fuori una sorta di edizione ridotta del testo, corredata di un ampio apparato di note storiche ed esercizi di comprensione dei testi selezionati.

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