domenica 24 luglio 2016

L'islam spiegato ai nostri figli e agli adulti che vogliono rispondere alle loro domande

Quando Tahar Ben Jelloun ha scritto e pubblicato questo libro, nel 2001, la data dell'11 settembre aveva appena fatto il suo tragico ingresso nella storia contemporanea, inaugurando una nuova era, quella nella quale l'appartenenza al mondo arabo e musulmano preoccupa e spaventa.
"Papà io sono musulmana?"
"Sì, come i tuoi genitori"
"E sono anche araba?"
"Sì, sei araba, anche se non parli questa lingua"
"Ma hai visto anche tu la televisione: i musulmani sono cattivi, hanno ucciso molte persone; io non voglio essere musulmana"
"E allora cosa pensi di fare?"
"D'ora in poi a scuola non rifiuterò più la carne di maiale in mensa"...
È così che ha inizio il racconto dialogico tra padre e figlia: lui è l'autore franco marocchino Tahar Ben Jelloun che, tra le sue tante opere, nel 1998 aveva già pubblicato un volumetto didascalico, "Il razzismo spiegato a mia figlia", giunto oggi alla sua quarantottesima edizione .
"L'islam spiegato ai nostri figli e agli adulti che vogliono rispondere alle loro domande" nasce, come si è detto prima, da un'occasione contingente, dalla necessità di condividere, all'indomani dell'attacco alle Torri gemelle, un racconto sull'islam e sulla cultura araba non solo con i propri figli, ma anche con gli altri "bambini -qualunque siano il loro paese, la loro origine, la loro religione, la loro lingua e anche le loro speranze".
Il dialogo generazionale si articola lungo nove giornate per così dire a tema. A premessa della seconda giornata così scrive l'autore:
Ho immaginato cosa sarebbe diventata questa discussione se l'avessi proseguita con dei bambini di età compresa fra i dieci e i quindici anni. Ho immaginato le loro domande, la loro preoccupazione, la loro impazienza.[...] Non cerco di convincere nessuno, racconto il più oggettivamente possibile e nel modo più semplice possibile la storia di un uomo diventato profeta e anche la storia di una religione  e di una cultura che tanto hanno dato all'umanità.
Come ebbe a scrivere una giornalista recensendo un volumetto dall'analoga impostazione ma d'altro contenuto - "La Resistenza spiegata a mia figlia" di Alberto Cavaglion-, anche in questo caso  "fare il punto non significa non avere un punto di vista etico-morale. Una lettura dietetica: si esce dal centinaio di pagine senza il senso di aver ingurgitato chili di panna montata”.
Grazie al suo tentativo di "spiegare" l'islam ai più giovani, Tahar Ben Jelloun è stato più volte invitato ad incontrare il suo pubblico nelle scuole: l'edizione Bompiani del 2016 raccoglie nella Postfazione che segue il dialogo altri scritti dell'autore, due dei quali sono proprio relativi ai rispettivi incontri con gli studenti dei licei di Milano e Torino sull'islam. Alle domande "immaginate" dall'autore all'interno del suo scritto, ogni volta  se ne sono sempre aggiunte di altre e di nuove, come lui stesso scrive: "Quali sono le contraddizioni interne al Corano?"; "Cosa ha fatto secondo lei l'America per meritarsi l'11 settembre?" "Perché gli americani si sono isolati e non sono interessati agli altri?" (le dichiarazioni di Trump oggi in corsa per la Casa Bianca, pertanto, non sono che l'espressione estrema di una certa tendenza americana); "C'è violenza ovunque, cosa fare per risolvere tutti questi conflitti?".
"Un giorno - scrive l'autore - dopo una conferenza alla facoltà di Lettere di Rabat, uno studente si è alzato e mi ha posto questa domanda:" Lei crede in Dio?" Rumore in sala e poi un silenzio sospetto. Immaginavo che tutti  volessero pormi questa domanda, ma solo lui aveva osato . Mi sono preso un po' di tempo e poi gli ho detto: "La cosa non la riguarda: è una questione privata e non sono qui per raccontarvi la mia vita!" Incomprensione, schiamazzi, e poi di nuovo silenzio. Ne ho approfittato per esporre la mia idea di laicità. [...] Mentre me ne andavo una ragazza con il foulard mi ha avvicinato per dirmi:" Detto tra noi, lei è un credente; non è possibile che una persona come lei non sia un buon musulmano".
È proprio la prospettiva laica quella dalla quale l'autore guarda ed invita a guardare non solo l'islam ma ogni religione, la stessa prospettiva che è alla base di questo libro e che  potrebbe dirsi ricetta capace di "ripulire" la religione, ogni religione, dal fanatismo e dall'intolleranza.
"La laicità non è la negazione della religione; al contrario è una forma di rispetto nei suoi confronti, nella misura in cui è vissuta nella sfera privata e non pubblica [...] Il suo fondamento è che il credo religioso non interferisca con il campo politico e culturale".
Già Averroè, vissuto nel XIII,  nato a Cordova, importante regno arabo nel Medioevo, e costretto a fuggire da lì proprio per le sue idee e a morire poi esule in Marocco, aveva parlato per primo della necessità di attribuire una certa logica al fatto di credere, aveva fatto notare che la religione musulmana veniva utilizzata con secondi fini e che c'erano al suo interno sette, clan di persone che si rifiutano di discutere e di accettare il contributo degli stranieri. Le sue denunce, però, non furono condivise dai politici di allora. "Da questo momento, - scrive Tahar Ben Jelloun a conclusione della sesta giornata del suo racconto dialogo- la cultura musulmana sarà contaminata dal fanatismo e dell'intolleranza."
Dopo i secoli d'oro della cultura araba, tra il IX e il XII, secoli nei quali la lingua e la cultura araba furono per il Medioevo ciò che la civiltà greca era stata per l'antichità, ha inizio la decadenza:  la Storia ci racconta  dell'appoggio richiesto dai califfi ai mercenari selgiuchidi, per la difesa del proprio territorio che porterà i Turchi di lì a poco a prendere il potere politico. Della crisi di un così vasto impero, quello arabo-musulmamo, diviso al suo interno tra regni sunniti- quelli ad esempio di Cordova e Baghdad- e regni sciiti - quello di Al Cairo- approfitterà la Chiesa occidentale con le sue Crociate, tra XI e XIII secolo, gli stessi secoli durante i quali i principi cattolici della penisola iberica metteranno in atto la loro Reconquista.
A partire dal 1492, il mondo cambia: non solo l'ultimo baluardo della cultura araba in occidente crolla- Granada- ma s'interrompe la pacifica convivenza tra ebrei e musulmani realizzatasi in Andalusia, da dove sia gli uni che gli altri verranno perseguitati e deportati. L'unica alternativa per quanti vorranno restare sarà  il battesimo o la morte, sebbene anche dopo la conversione ai "mori", come erano chiamati, non venisse risparmiata la persecuzione.
È lì che storicamente ha  inizio l'isolamento del mondo arabo, scrive Tahar Ben Jelloun :" gli sarà vietato di avere relazioni commerciali con l'Europa; la filosofia araba continuerà a essere insegnata nelle università europee ma, nello stesso tempo, smetterà di svilupparsi e soprattutto di essere studiata nel mondo arabo-musulmano. Al suo posto, al posto della filosofia che ci insegna il metodo, il dubbio e la riflessione, che ci apre orizzonti diversi e molteplici sul pensiero degli altri popoli, verrà insegnata solo e unicamente la religione islamica. E chi dice religione dice credenza, assenza di riflessione e di dubbio".
Ecco perché secondo lui è sul piano della conoscenza che la lotta al terrorismo oggi va combattuta. "L'Europa deve studiare il modo più scientifico per lottare contro i vari elementi di fanatismo islamico" . Lo deve "ai tanti cittadini musulmani che vivono nei suoi territori e fanno progressivamente parte del suo paesaggio umano", lo deve a quanti l'islam non lo conoscono affatto se non per pericolosi luoghi comuni  che oggi portano gli  stessi  ad associare l'essere musulmano con l'essere fanatico e intollerante verso chi non pratica l'islam.
L'islamizzazione delle menti va arginata: Tahar Ben Jelloun la definisce come una sorta di "colonizzazione delle mentalità da parte di quest'ignoranza che autorizza qualsiasi uomo pieno di sé ad erigersi a imam, a fare prediche e a dare consigli, a dare ordini, in relazione alla condotta della vita intima di ciascuno".
Gli islamisti si servono  dei canali della televisione satellitare nei paesi del Golfo e del Vicino Oriente per mandare in onda di continuo una propaganda contro la Ragione, lo sviluppo, lo spirito di libertà e di laicità, contro l'Occidente, che fa presa sui cosiddetti spiriti deboli, ecco perché  è proprio in Occidente che la battaglia laica va combattuta sul piano culturale.
Come? Ad esempio, non lasciando le moschee europee in mano a coloro che utilizzano l'islam per ragioni che non hanno nulla a che fare con la religione.
Ibd Kaldhun nel XV secolo, Al-Afghani nel XIX e Mohammed Abduh nel XX, saggi arabi, studiosi della loro stessa società hanno parlato dell'importanza di cambiare alcune regole e abitudini nel modo di praticare la religione, di riformarla, poiché l'interpretazione letterale di un testo che fa riferimento per moltissimi  aspetti ad un'epoca assai lontana, di quindici secoli fa, è un  modo riduttivo, schematico e caricaturale di interpretare il messaggio del profeta Maometto.
Nel marzo scorso, all'indomani degli attentati terroristici  in Belgio, tante testate giornalistiche hanno parlato della grande moschea saudita in Belgio, sorta in un antico palazzo che nel 1967 il re Baldovino pensò di cedere in affitto per 99 anni all’Arabia Saudita, in occasione della visita di re Faisal ben Abdelaziz. Erano anni nei quali  l’immigrazione musulmana stava diventando significativa, i fedeli islamici avevano bisogno di un luogo di culto e gli affari con i petrolieri sauditi non ne avrebbero certo sofferto. Le autorità saudite hanno fatto di quel luogo il centro in Europa per la diffusione del wahabismo, la linea di pensiero estremista alla base delle organizzazioni terroristiche di matrice islamica  in Europa. Oil for Islam, titolava qualche giornale dopo gli attentati terroristici di Bruxelles. Forse, però, sarebbe stato più corretto dire Oil to islamize.  

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