venerdì 22 luglio 2016

Il rogo di Stazzema" e "Le valigie di Auschwitz": l'infanzia ai tempi della guerra

"Il rogo di Stazzema" e "Le valigie di Auschwitz" sono rispettivamente un racconto e una raccolta di racconti per ragazzi: il primo è stato scritto da Annalisa Strada e Gian Luigi Spini; la seconda da Daniela Palumbo. I due libri sono stati pubblicati dalla casa editrice Piemme nella collana "Il battello a vapore", l'uno nel 2014 e l'altro nel 2011.
Ne " Il rogo di Stazzema" la vicenda principale si snoda lungo il breve arco temporale che va dall'11 agosto 1944- vigilia dell'eccidio di Stazzema- ai giorni immediatamente successivi di cui si racconta solo nell'ultimo capitolo, Come finì senza finire mai.
Nella Nota degli Autori, i due autori del libro riferiscono l'episodio reale cui s'ispira il racconto, pubblicato nel 2014, in occasione del settantesimo anniversario della strage di Stazzema: la storia di Enio Mancini, che all'epoca aveva 6 anni, come il protagonista della storia, Lapo. Lapo e la sua famiglia- il fratello Pietro, nonna Ida e la mamma, nonché  due sfollati, la signora Ornella e il figlio  Filippo-  fanno appena in tempo a fuggire da Sant'Anna, frazione di Stazzema, in provincia di Lucca, la mattina del 12 agosto del '44: è il giorno nel quale quattro reparti della sedicesima divisione Panzergrenadier delle Reichsfuhrer SS, guidati da collaborazionisti fascisti, attaccano Sant'Anna. Fu un attacco immotivato e inatteso poiché il territorio dell'intero comune era stato dichiarato "zona bianca" da quando i partigiani l'avevano abbandonato: lì tanti sfollati dalle città circostanti avevano trovato riparo per sfuggire ai bombardamenti e alle altre azioni di guerra. Sul sagrato della chiesa, dove i bambini fino al giorno prima "avevano giocato a ghinè e gli adulti avevano scambiato chiacchiere e cibo" una grossa mitragliatrice venne piazzata al centro e "quando arrivarono le cartuccere con i proiettili, molti stavano pregando ad alta voce". Furono 560 i civili vittime: donne, anziani e bambini.
Lapo e i suoi familiari si erano inoltrati scalzi su per la boscaglia, non senza notevoli difficoltà sia per i tre piccoli  che per le tre donne, tra cui l'anziana nonna Ida. È proprio lei, la nonna, che ad un certo punto si ricorda di quel che è stato dimenticato nella concitata fuga: aprire la stalla per far uscire Bianchina, la mucca che "se vivi in campagna è un tesoro, anzi è il tesoro". Per questo la comitiva di fuggiaschi decide di provare a far ritorno verso casa, tagliando dritto nel bosco, ma  qualcosa va storto e lungo il loro cammino essi s'imbattono in alcuni soldati tedeschi: per loro la "morte armata" ha un nome e un volto, quello  del soldato  Hans "la cui fede nella vittoria finale promessa da Hitler non lo abbandonava mai". Hans combatte da quando la guerra è iniziata: ha man mano sentito crescere dentro di sé la consapevolezza di "essere debole, di essere un numero insignificante anche per quegli stessi uomini che lo avevano mandato a combattere e ciò aveva accresciuto la rabbia: verso se stesso per essere stato un agnello che si lascia imbonire  per raggiungere il macello, e verso il mondo perché si stava abituando a sparare".

"Carlo, Italia", "Hannah e Jacob, Germania", "Emeline, Francia" e "Dawid, Polonia" sono rispettivamente i titoli dei quattro racconti della raccolta "Le valigie di Auschwitz".
Come narrato dall'autrice nelle prime pagine d'introduzione al testo, presso il Vernichtungslager (campo di sterminio in tedesco) di Auschwitz, oggi luogo della memoria, la stanza numero 4 del blocco 5 è occupata da una grossa teca che separa il visitatore da migliaia di valigie ivi ammassate.  "Su tutte ci sono scritti un nome, un cognome e un indirizzo. Ce ne sono di piccole e di grandi. [...] I soldati nazisti dicevano agli ebrei che sarebbero stati via a lungo, ma che avrebbero fatto ritorno a casa. Per ingannarli facevano preparare loro una borsa per il viaggio, ma se qualcuno chiedeva dove erano diretti i tedeschi non rispondevano. Come fai a preparare una valigia se non sai  dove stai andando?"
La storia di Carlo, quella di Hannah e del fratellino Jacob, affetto da un ritardo mentale, la storia della francesina Emeline e del piccolo polacco Dawid sono solo alcune delle storie contenute in quelle valigie, preparate di fretta tra la paura di un viaggio verso l'ignoto e la speranza di un ritorno verso ciò che si era obbligati a lasciare.
Ai bambini che vissero l'orrore  della persecuzione e/o della deportazione, scrive Bruno Maida ne "La Shoah dei bambini", venne meno, tra le altre cose, una grande e fondamentale fiducia: quella  nei confronti della cosiddetta "onnipotenza genitoriale". Le leggi razziali tolsero ai genitori la possibilità di dare risposte alle domande dei propri figli e, soprattutto, di  garantire loro una speranza di salvezza. 
Al silenzio di chi li ha generati seguono reazioni spesso di rabbia, di ribellione da parte dei piccoli protagonisti dei suddetti racconti che si vedono improvvisamente e irragionevolmente privati di tutto quello che prima era parte della loro quotidianità. Non  resta loro che "scegliere" cosa portare con sé di quel tempo passato: un mazzetto di biglietti del treno, un quaderno su cui annotare il numero delle stelle del cielo, un violino, il ricordo delle persiane blu...

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