domenica 26 gennaio 2020

Le nostre valigie per Auschwitz: cosa ci portiamo per il nostro viaggio della Memoria? Perché "se comprendere è impossibile, conoscere è necessario"

Ogni anno la didattica della Shoah trova lo spazio che merita nella classi dove insegno. Che si tratti di una prima, di una seconda o di una terza media, ritengo che i ragazzi abbiano la necessità di affrontare il loro viaggio della Memoria. Fermarsi per quel giorno, il 27 gennaio, e per qualche altro ancora, e cercare di conoscere, è come  intraprendere un viaggio della memoria, ognuno per sé e tutti insieme. E di strumenti didattici per prepararsi a questo viaggio, di volta in volta adatti alle classi con cui esso sarà affrontato, ce ne sono davvero tanti oggi. 
Prima di descrivere le mie attività di quest'anno, quelle che rispettivamente proporrò ad una classe prima e ad una terza, vorrei riflettere sul perché una didattica della Shoah debba mantenere un suo posto chiaro e riconoscibile tra i nostri banchi di scuola. Ne scrivono in tanti oggi. E ad alcuni di quei tanti che ne scrivono qui si farà riferimento. 
Mi limiterò a citare tre strumenti di cui mi è capitato- e mi capita ancora- di servirmi in classe: uno è  la recente "Lettera ad un dodicenne sul fascismo di ieri e di oggi" (2019) di Daniele Aristarco; gli altri due testi, invece, sono più vecchi ovvero "Che cos'è l'antisemitismo?" (2006) di Lia Levi e "Auschwitz spiegato a mia figlia" (1999) di Annette Wieviorka. I tre testi, per la loro forma - lunga lettera il primo e impianto dialogico gli altri due- si prestano ad avviare e guidare in classe la riflessione su ciò che lega l'oggi e il domani a quel passato cui la Shoah appartiene. Sono testi brevi (di appena un centinaio di pagine), che possono essere letti a voce alta in classe e/o poco alla volta: sono testi che nascono per rispondere a domande o, come scrive Lia Levi nell'introduzione al suo libro, spesso servono a fare luce su certe affermazioni "buie". Nel presentare uno dei tre testi alla classe, che alternativamente uso, mi servo di una metafora cui mi sono affezionata in questi anni e che torno a condividere con i ragazzi per la sua forte efficacia: la metafora del filo
  Pietro Terracina, uno dei sopravvissuti ad Auschwitz, morto da poco, a dicembre del 2019, all'età di 91 anni, scriveva, infatti, che"la memoria non è il ricordo, è quel filo che lega il passato al presente e condiziona il futuro". La Memoria intesa come filo e, pertanto, come legame. Il legame con il passato nasce, infatti, attraverso la conoscenza che nel presente siamo in grado di farne, rendendolo parte di noi, della nostra memoria, della nostra identità, e di conseguenza anche della costruzione del nostro futuro. Si è cittadini migliori se si conosce il proprio passato, ricordava ancora una volta Ferruccio de Bortoli, presidente onorario del Memoriale di Milano,  nella diretta video del 20 gennaio scorso dal teatro Arcimboldi della città. Ed è nel suo libro "Il filo invisibile della Memoria" che qualche anno fa ho letto per la prima volta la frase di Terracina sopracitata e il racconto "Un'infanzia perduta" di Liliana Segre, colei che lunedì scorso sedeva proprio accanto a Bortoli per incontrare da vicino le tante scuole milanesi giunte all'Arcimboldi ad ascoltarla: grazie alla diretta video trasmessa dal sito del Corriere.it, anche chi come noi era lontano ha potuto ascoltare le sue parole. La Segre, da due anni nominata senatrice a vita della nostra Repubblica, con i suoi quasi 90 anni ormai, continua a far incontrare il suo passato alle generazioni presenti, al futuro della nostra nazione. Ed è proprio ascoltandola in quell'occasione, in compagnia della mia collega Paola e delle nostre due classi terze, che ho pensato di nuovo alla forza di quel filo, a come importante sia continuare a legare ad esso e con esso i nostri ragazzi, anno dopo anno a ciò che è stato, alle tante storie di sopravvissuti e non.
Edith Bruck, ungherese di origini ebree, scrittrice e regista, oggi 88 anni, in un'intervista comparsa sabato scorso sull'inserto di Repubblica Robinson, dichiara di avere ancora paura, paura di ciò che sarà. Lei non è  mai tornata ad Auschwitz, dove venne deportata a 12 anni insieme alla madre, al padre, alla sorella e ad altri famigliari nessuno dei quali, eccetto lei, fece più ritorno. Critica verso la lunga retorica delle celebrazioni intorno alla Giornata della Memoria, la Bruck è nello stesso tempo convinta che verranno col tempo distrutte tutte le cose autentiche, com'è successo già al campo di Dachau, dove, dice, si vedono solo 32 numeri per terra al posto delle rispettive baracche.  "(il creamtorio, ndr) lo elimineranno. Cancelleranno con noi la verità, quando l'ultimo dei deportati sarà morto, via libera alla mistificazione. [...] Temo molto il dopo, il "cosa sarà dopo di noi", che già Primo Levi si chiedeva [...] Mi sono laureata con lode ad Auschwitz. Lì si cresce, e si diventa subito vecchi. Ho capito cos'è l'uomo, la vita e la morte. Dopo niente è stato più uguale. Non sono mai stata razzista, non ho mai ucciso neanche una mosca. Non odio. Ho imparato. Però mi stupisco ancora del male". 
Anche la Segre, durante una giornata di studi sul terzo mestiere di Primo Levi, in una sorta di lettera ideale a colui che lei definisce "Amico e Maestro", scritta da questo XXI secolo, usa parole simili a quelle della Bruck:" Caro Primo, Amico e Maestro, neanch'io come te dimentico, neanch'io come te perdono. Ma non odio". 
In una società di haters, online ed offline, partire da queste affermazioni con i nostri ragazzi è importante: la capacità di non odiare e di non istigare nessuno a farlo accomuna i racconti dei testimoni, di quanti sopravvissero per caso all'odio feroce e contagioso di quegli anni, le cui vittime furono milioni. 
Ecco perché leggere, raccontare, ascoltare insieme ai  ragazzi di oggi ciò che dalle voci della Shoah ci arriva è doveroso da parte di noi insegnanti, non tanto per onorare chi non c'è più ma per irrobustire le coscienze verso  ciò che potrebbe  ancora sedurle, oscurarle, occuparle: l'odio razzista. 
Attività classe prima
Un cartone, un libro e 22 valigie di cartone
Lunedì 27 gennaio 
Vedremo con la classe prima il cartone sulle sorelle Andra e Tata Bucci, La stella di Andra e Tati (disponibile su Raiplay, durata 28 minuti). È  la storia di due bambine originarie di Fiume che vennero deportate ad Auschwitz insieme alla loro madre, alla  nonna, alla zia ed al cuginetto loro coetaneo. Al cartone, seguirà la raccolta di una serie di domande che la classe sarà chiamata a formulare relativamente  sia alla storia delle due protagoniste sia alla Storia del periodo in cui si svolsero i fatti. Saranno quelle a cui si cercherà di rispondere in classe attraverso la lettura del libro di Lia Levi, "Cos'è l'antisemitismo?" (mercoledì 29). Quest'ultimo, infatti, è strutturato proprio attraverso brevi capitoli (20 in totale), ciascuno dei quali ha come titolo una domanda a cui nel capitolo si risponde. Il lavoro sul libro sarà fatto per parole-chiave: ai ragazzi sarà consegnato l'indice del libro che contiene l'elenco delle domande rispettivamente poste ad apertura di ciascun capitolo; si chiederà che, alla lettura del breve capitolo da parte dell'insegnante, ciascuno scriva le parole-chiave dello stesso. Le domande, infatti, le parole-chiave delle loro risposte, saranno quanto ciascuno metterà dentro o fuori la propria valigia di cartone, quelle che costruiremo giovedì in classe, grazie all'aiuto della collega di Tecnologia. La valigia preparata e riempita da parole-chiave che verranno fuori dalla conoscenza di una storia, quella di Andra e Tati, e dalla lettura del libro di Lia Levi, simboleggeranno l'inizio del nostro viaggio della Memoria, che continuerà lungo i due anni successivi delle medie. Mi piacerebbe che le valigie trovassero una collocazione fuori dall'aula di chi le avrà costruite e riempite, magari in un angolo dell'atrio o in biblioteca, come piccolo "monumento" dell'inizio di questo viaggio.
Attività classe terza
Gli occhi della Shoah
In terza, invece, a conclusione di un percorso sulla Memoria cominciato in prima, quest'anno affronteremo un lavoro che prenderà in esame la sfera dei ricordi di chi visse rispettivamente la Shoah da bambino, da ragazzo e da adulto. 
Partiremo con la vicenda di Jona Oberski, deportato a circa quattro anni con la sua mamma e il suo papà nel lager di Bergen Belsen, ed unico sopravvissuto: la storia di Jona che lui stesso raccontò a quasi quarant'anni nel libro autobiografico "Anni d'infanzia" (1978), è diventata film grazie al regista italiano Roberto Faenza con il titolo di "Jona che visse nella balena" (1993). I ragazzi assisteranno alla visione del film, sul quale riceveranno la scheda film che io ho preparato e un capitolo-ricordo a testa tratto dal libro. Attraverso una stessa storia che gli allievi conosceranno nel linguaggio cinematografico e grazie al testo narrativo cui il film s'ispira, la classe sarà poi chiamata a costruire l'album d'infanzia di Jona, usando il linguaggio delle immagini e associando ad esse parole-chiave tratte dal capitolo che ciascuno rispettivamente prenderà in esame. La lettura del racconto "Un'infanzia perduta" di Liliana Segre, che gli allievi hanno ascoltato anche dalla viva voce della protagonista  nella diretta video del 20 gennaio, li porterà a costruire un testo della tipologia A prevista per l'esame di Stato. La Giornata della Memoria, la sua istituzione, ma, soprattutto, il racconto di ciò che l'Armata rossa trovò al proprio arrivo ad Auschwitz, sarà oggetto di trattazione attraverso la lettura di un articolo comparso sul Corriere della Sera il 27 gennaio del 2011 a firma di Fabrizio Dragosei e dal titolo "Quando i sovietici liberarono Auschwitz". L'analisi dell'articolo e le riflessioni che ne faranno seguito serviranno a far preparare agli allievi un testo di tipo espositivo/argomentativo sulla tipologia B prevista per l'esame di Stato. Il nostro viaggio della memoria che, quest'anno, ci porterà a visitare Le Nuove di Torino, avrà  quale  ultima e più lunga tappa la lettura di Se questo è un uomo di Primo Levi,  il cui lavoro di analisi sarà oggetto di un post successivamente. 
Tra i testi poetici che i ragazzi leggeranno ed analizzeranno a tema Shoah, infine, vi saranno i seguenti: La farfalla di Pavel; di Primo Levi Shemà, La bambina di Pompei e Cercavo te nelle stelle.
Raccontare la/e Shoah è il titolo di una dispensa storica in sei pagine che, ogni anno, fornisco agli allievi di terza per ripercorrere insieme a loro le tappe di quell'antisemitismo religioso che nato nella tarda età antica, percorre l'età medioevale e moderna e sfocia, nel XX secolo, in azioni politiche ufficiali di alcuni governi, a partire dai pogrom dell'impero zarista e dalla messa in circolo del falso storico de "I protocolli dei savi di Sion" per arrivare alle leggi razziali tedesche e italiane e a ciò che ne seguì. 

sabato 18 gennaio 2020

In un ospedale delle rane, dietro la porta ...

In un ospedale di ranedietro la porta dell'ingresso principale, accoglie i pazienti colei che è diventata, per la sua natura, l'avversario di certe metamorfosi: la Pecora nera...
Potrebbe essere l'incipit di un favola moderna o di un racconto di fantascienza
Oppure, introducendo qua e là qualche altro elemento narrativo e cambiandone altri,  potrebbe diventare  l'avvio di un giallo ad enigma, come il seguente:
Nell'ospedale delle rane, dietro la porta della camera principale, la numero 7, il dottor Raniero, specialista in interventi di metamorfosi indotta, dovette constatare dinanzi al suo peggior avversario, il dottor Straniero, la morte per avvelenamento della Pecora nera... 
In realtà "L'ospedale delle rane", "Dietro la porta", "L'avversario", "Le Metamorfosi" e "La pecora nera" sono i cinque titoli di altrettanti romanzi, che qualcuno avrà probabilmente già individuato e che nulla hanno a che fare con gli incipit ricreati😊...o almeno così pare. 
"L'ospedale delle rane" e "L'avversario" sono i titoli di due romanzi contemporanei rispettivamente nati dalla penna della statunitense Lorrie Moore e da quella del francese Emmanuele Carrere; "Dietro la porta" è un breve romanzo di Giorgio Bassani, invece "La pecora nera" è stato scritto dal polacco Israel Joshua Singer. E per finire "Le metamorfosi" è, di questo breve elenco, la storia più antica visto che è un romanzo latino dello scrittore Apuleio del II secolo d. C.
I cinque titoli si sono ritrovati per caso riuniti dalla mia penna, ieri mattina, in un elenco di libri che stavo ordinando presso il mio libraio, servendomi dell'app  di cui la libreria dispone. Ed è stato proprio mentre li leggevo insieme che i magnifici cinque mi hanno suggerito un'idea ri-creativa. Quale?
Quella di provare a suggerire ai ragazzi il passaggio da un semplice elenco di titoli all'incipit di una storia che quei titoli contenga o da essi venga suggerita. 
È un lavoro, anche questo, che si può proporre in classe in modalità differenti, alcune delle quali ho descritto di seguito.
Primo esercizio 
Al termine dello studio di uno o più generi letterari l'insegnante porta in classe un tot di libri, chiedendo agli allievi, suddivisi preventivamente  in gruppi, di scriverne dei piccoli elenchi (5- 6 titoli al massimo). A partire dagli elenchi redatti si chiederà a ciascun gruppo di generare degli incipit, assemblando i titoli scelti.
 Alla genesi dell'incipit, dentro ciascun gruppo, potrà far seguito l'indicazione del genere letterario che esso a parere del gruppo suggerisce. 
Questo esercizio, pertanto, è proponibile in qualsiasi classe (prima, seconda, terza) quale attività ludico-ricreativa, ma che dia prova  delle conoscenze acquisite dalla classe in merito alle caratteristiche principali dei generi letterari studiati, ai quali la generazione degli incipit dovrà rimandare. Per facilitare il lavoro, inoltre,  si potrebbe mettere  a disposizione di ciascun gruppo, una mappa di riepilogo sulle caratteristiche dei generi letterari studiati e/o un richiamo- un incipit guida ad esempio- a qualcuna delle storie lette che li conduca all'avvio di altre storie con caratteristiche simili. 
Ciascun gruppo, terminato il proprio lavoro, potrebbe poi divertirsi ad assegnare ad un altro gruppo la 
lo svolgimento della storia, a partire dall'incipit ricreato. Questo favorirebbe l'interazione, lo scambio tra i gruppi, generando osservazioni reciproche sui singoli lavori realizzati.
Secondo esercizio
Il secondo esercizio si potrebbe proporre sia in una classe seconda che in terza quale lavoro di riepilogo sulle principali caratteristiche dei generi letterari precedentemente studiati. Oppure anche alla fine dell'anno scolastico in prima o in seconda, quando terminata la trattazione dei  generi letterari previsti dalla programmazione, il riepilogo sugli stessi porterebbe la classe a creare incipit di scrittura al cui svolgimento i singoli allievi potrebbero dedicarsi durante l'estate. 
Si rivelarebbe, a mio parere, interessante fornire loro un elenco ad esempio di cinque/sei titoli, questa volta tutti uguali, e magari  gli stessi di cui proporre la lettura estiva. Qui si potrebbe  suggerire a ciascun allievo la costruzione di un incipit a partire dall'elenco, vincolandolo oppure no alla scelta di un genere.
Terzo esercizio
Quest'ultimo esercizio lo proporrei per animare una mattinata in biblioteca con i ragazzi, rendendola anche  produttiva sul piano della scrittura. Quando (e se 🤔) si portano i ragazzi in biblioteca, quella della scuola o quella civica, opoure perché no, anche dopo l'uscita al Salone del libro, diventa interessante, al termine della scelta da parte di ognuno di uno o più titoli da leggere, far compilare loro una lista comune. Secondo ciò che la messa insieme dei titoli sarà capace di suggerire, ecco che si dirà loro di scrivere incipit che poi svilupperanno. 
Perché le liste possono quasi sempre essere foriere di idee: Umberto Eco, nel 2009, vi dedicò persino un libro bellissimo dal titolo "La vertigine della lista",  in cui il grande semiologo indaga il significato nascosto della lista, esplorando le tante liste che abitano il mondo letterario antico e moderno, ma anche quelle suggerite dalle arti figurative.  
Anche a scuola la "lista" potrebbe, peraltro, essere indagata come genere a sé: e visto che si parla di libri, perché no, magari si potrebbe esplorare insieme qualche "lista proibita", ad esempio parte  del famoso "Indice dei libri proibiti", l'elenco delle letture proibite dalla Chiesa cattolica dal 1559.  E anche su quelli proporre un'attività ricreatrice. 
Per tornare da dove siam partiti, ecco l'incipit suggeritomi dai cinque titoli sopraelencati e da cui l'idea di questo post è nata. Ai miei primini darò l'arduo compito di proseguirlo...
In un ospedale di rane, dietro la porta dell'ingresso principale, accoglie i pazienti colei che è diventata, per la sua natura, l'avversario di certe metamorfosi: la Pecora nera. Da sempre considerata l'elemento del gruppo da redimere, e perciò da cambiare, la Pecora nera pensò un bel giorno di fondare un luogo in cui prendersi cura della "diversità". Come? Nell'unico modo possibile: accogliendola. 
Nell'ospedale delle rane che la Pecora Nera dirige, infatti, la "diversità" d'ogni tipo è soggetta alle attenzioni che fuori non le vengono date. O, purtroppo, sì ma in negativo.
Lì ogni paziente giunge con la propria storia: ognuna "diversa" come chi la racconta, ma tutte sostanzialmente uguali. 
L'idea era venuta alla Pecora Nera proprio il giorno in cui, cacciata per l'ennesima volta dal gruppo delle razziste pecore bianche, la stessa giunse in prossimità di uno stagno. Dentro il piccolo  specchio d'acqua la Pecora notò una scena a lei familiare. Un gruppo di rane panciute era disposto in cerchio intorno ad una grossa ninfea dove la povera Girana stava immobile. Era lei la "pecora nera" dello stagno, e tutti gracidavano in coro il suo nome: "Gi-ra-na, Gi-ra-na..." .Delle rane essa aveva sì la stazza, ma non l'aspetto, che era rimasto invece tale e quale quello di un girino. Una metamorfosi sbagliata, pensò la Pecora Nera osservandola, o solo non del tutto compiuta...
Toccherà ai ragazzi portare avanti la storia da questo punto in poi. Dovranno pertanto fare in modo che  la Pecora Nera e la triste Girana si conoscano; fare in modo che pensino insieme a creare un luogo per loro, un luogo ove tutti imparino a sentirsi uguali pur essendo diversi. Un luogo dove tante altre "pecore nere" come loro giungeranno a raccontare ognuno la propria storia e ad ascoltare quelle degli altri, per imparare a non sentirsi più soli e provare ad  insegnare ad altri che non è chi è diverso a dover essere cambiato, ma chi lo sente come tale♥️

domenica 12 gennaio 2020

Con i ragazzi della via Paal

"I ragazzi della via Paal" è il più noto romanzo ungherese  per ragazzi, che io ho finalmente letto per la prima volta quest'oggi dall'edizione "La Sorgente" del 1965, quella da cui proviene l'immagine di copertina del "ragazzo biondo".
Confesso che non ero mai stata prima d'ora al "campo di via Paal", pur conoscendone da tempo l'esistenza; non avevo mai conosciuto Boka e i suoi compagni da vicino, né le Camicie rosse loro rivali. Tra i romanzi per ragazzi che  ragazza io stessa lessi, "I ragazzi della via Paal" non entrò mai nella lista. Non saprei dire perché: probabilmente perché nessuno mai me lo regalò ritenendola ad errore una  "lettura per soli maschi". E non ricordo neppure che me ne sia mai stata suggerita la lettura a scuola (peccato!). E seppure poi, da grande, abbia più volte pensato di leggerlo fino ad ora non me ne ero curata tanto (ripeccato🤷‍♀️). Il romanzo apparteneva, pertanto, a quella lista di libri di cui  si conosce l'esistenza, si sa per grandi linee di cosa parlano, ma dentro cui non si è mai entrati: de "I ragazzi di via Paal" mi mancavano i particolari, la conoscenza ravvicinata dei suoi abitanti, dei suoi luoghi e dei suoi tempi. 
 E se è  vero che c'è sempre tempo per riparare a certi propri errori, oggi me ne sono finalmente presa un po' per arrivare fino in via Paal (o Pal).
Nato dalla penna dello scrittore ungherese Ferenc Molnar, nel 1907, "I ragazzi della via Paal" conobbe varie edizioni nel nostro Paese: la prima è quella del 1929, quando l'Italia è già sotto le leggi mussoliniane. L'edizione da cui ho letto il romanzo oggi è del 1965, appartiene a mio marito e reca in copertina l'immagine dell'unico ragazzo della banda di via Paal sul quale la voce narrante ci fornisce sin dall'inizio una brevissima descrizione fisica, attraverso un solo aggettivo: "biondo". Il "piccolo biondo" è solo uno, infatti, per il lettore di questo romanzo: il "soldato semplice " Nemecsek, nato per obbedire tanto quanto il quattordicenne  Boka è nato per comandare. Il rapporto tra il soldato e il suo capitano i cui anni sono tanti quanti i ragazzi della banda della via Paal, è fatto di reciproca stima e fiducia: si rivela un legame forte e destinato a crescere lungo la storia. Ed anche a far crescere. Se Gereb, un altro ragazzo della banda, è colui che entra in opposizione a Boka e spinto dalla gelosia tradisce i ragazzi di via Paal con i rivali delle Camicie rosse, Nemecsek è il suo esatto contrario: il piccolo biondo è simbolo di coraggio e di lealtà alla sua banda, alle sue regole ed al proprio capitano. Anche se lui è l'unico sottomesso del gruppo, l'unico a non essere graduato. Somiglia a suo padre, il piccolo biondo, abituato lui e l'altro ad obbedire nonostante tutto. Ma l'indole obbediente di Nemecsek non lo rende solo un sottomesso nella storia, cosa che invece suo padre pare soltanto saper essere: delle virtù dell'esile soldato tutti pian piano si rendono conto, persino i rivali. Anzi loro per primi.
Uno dei principali insegnamenti che si ricava dall'essere avversari, dal combattere su fronti avversi, attraverso questa storia, è il riconoscimento reciproco del valore del proprio nemico e il rispetto delle regole del gioco. La guerra per la difesa del campo di via Paal da parte di Boka e dei suoi, così come quella per la conquista dello stesso campo da parte della banda delle Camicie rosse, è un gioco ma a cui i partecipanti credono seriamente. E alla quale si preparano con strategie di difesa e di attacco che al lettore vengono passo passo descritte. In fondo giocare alla guerra, al combattimento appartiene ad ogni epoca, così come la guerrabquella  vera fa parte di ogni epoca della storia seppure, come ha scritto di recente Maurizio Bettini recensendo un libro sulla guerra, essa sia pensata dagli antichi e dai moderni in modo differente. Quella tra le due bande di via Paal e delle Camicie rosse è  una guerra che, come tale, dovrà essere però combattuta lealmente. Ed è Nemesec da soldato semplice, grazie al suo coraggioso gesto che lo porta ad affrontare da solo le Camicie Rosse, a metà della storia, che insegna agli avversari quanto importante sia il gioco leale. Sarà a quel punto che il traditore Gereb verrà allontanato dalla banda delle Camicie rosse e, con pentimento e vergogna, tornerà poi sui suoi passi. Grazie a Nemesec, infatti, i ragazzi delle Camicie rosse capiranno quanto sleale sarebbe stato da parte loro attaccare il campo di via Paal senza una ufficiale dichiarazione di guerra che, con apposita delegazione, viene pertanto inviata al campo da conquistare. La via Pal è al centro di una guerra fra bande perché rappresenta quello "spazio libero", nel quale ancora i ragazzi vogliono poter giocare. Poiché nella via Pal c'è un largo spiazzo dove fra palizzate e cataste di legname, il gioco può essere praticato: perciò entrambe le bande lo reclamano. Ma alla fine della battaglia, quando persino il "piccolo biondo" muore per la febbre che lo assale dopo il bagno di punizione fattogli fare dalle Camicie rosse, giacché comunque il soldatino ha osato sfidarle facendo irruzione nel loro campo, tutto appare inutile, perché lo spiazzo libero di via Pal scompare: il proprietario l'ha venduto, vi costruiranno un palazzo. E nessuno vi  giocherà più, come a dire che il destino umano è pur sempre la sconfitta anche dopo avere vinto una guerra: Nemecsek che ha combattuto è  morto, il campo è perso. Ma combattere eroicamente vale comunque sempre la pena, perché la vita è sempre un combattimento per ognuno di noi:"un combattimento a volte sereno a volte triste". È questo il pensiero finale di Boka.
C'è avventura, c'è formazione, c'è il gioco con le sue regole scritte e non-perché ogni gioco ne ha- c'è quello che ogni gioco può insegnare. Ci sono i ragazzi, quasi soltanto loro. I pochi adulti che compaiono nel romanzo (il professore che scopre l'anonima Società dello Stucco, lo slovacco del campo, il padre di Gereb, il sarto padre di Nemecsek e il suo cliente) sembrano non far parte del piccolo mondo delle bande, non conoscerne le regole o, come tenta di fare il professore, volerle conoscere per poterle cancellare. 
E alla fine se non il gioco lo spazio per lo stesso viene dall'adulto cancellato, sottratto alla possibilità di farvi ancora giocare i ragazzi. 
I ragazzi di via Paal sono simbolo di un'identità di strada che oggi i nostri sembrano aver perduto: vivono in un'era in cui lo spazio libero del gioco non c'è più o si è spostato prevalentemente ad una realtà virtuale che è la sola nella quale i ragazzi "veramente" si incontrano. Salvo fare parte di squadre per gli sport che alcuni praticano o frequentare l'oratorio. Ma quello delle bande di strade non è più un gioco che si pratica con innocenza oggi.
Le "bande" di cui spesso sentiamo parlare ci fanno purtroppo pensare al loro capitano bullo che nulla ha che fare con il saggio Boka perché il bullo cerca solo l'obbedienza nel tentativo di sopraffare gli altri. Boka, invece, no. Il bullo è lo "sgrammaticato sociale" che non conoscendo le regole del viver comune non le pratica, anzi le scavalca. E Boka non lo è, come non lo è il capitano della squadra avversaria Franco Ats. Quest'ultimo, addirittura, quando scopre dell'episodio delle palline sottratte con prepotenza a Nemecsek ed altri ragazzi della via Paal dai fratelli Pasztor delle Camicie rosse, punisce i due per la loro scorrettezza: non  si prevaricano i più piccoli, dice Ats e i Pasztor accettano la lezione. 
Oggi accade che i ragazzi stentino a riconoscere nell'altro il valore che talora a loro manca: il coraggio, la determinazione, la capacità di farsi scegliere per i propri meriti di capitano di una squadra e non di imporsi agli altri incutendo loro soggezione.
Sarebbe bello in classe provare a confrontarsi con loro, con i ragazzi per comprendere quanto del gioco di squadra e di strada ancora loro sanno. Chi per loro è un " vero capitano". E magari portarli a confrontarsi con i loro padri o i loro nonni, che ragazzi di una via di certo sono stati e qualche insegnamento da trasmettere lo avranno pur ricavato. 
Un'analisi delle copertine delle varie edizioni del libro in Italia, dagli anni '30 ad oggi, sarebbe un altro interessante lavoro da proporre loro, prima di leggere il romanzo e dopo averlo letto. Giacché in casa, in biblioteca, a scuola un'edizione più o meno vecchia di questo libro la si trova, si potrebbe partire con il chiedere ai ragazzi di procurarsela così da provare a fare in classi un'analisi delle scelte grafiche delle case  editrici. Alcune, infatti, scelgono di rappresentare il gruppo se non interamente in parte; altre isolano il "piccolo biondo" o Boka, o riprendono momenti dello scontro o lo spazio del campo o la via.
E infine i personaggi la cui caratterizzazione fisica manca, se non per il "piccolo biondo" come dicevamo all'inizio: essi vengono presentati al lettore attraverso il loro agire quotidiano, all'inizio del romanzo in classe, e successivamente al campo. E la gerarchia del campo vale anche in aula, tant'è che prima della battaglia finale l'eco giunge a scuola e tutti  prendeno a modo loro parte all'evento. Si fa il tifo per i ragazzi della via Paal rispetto ai loro rivali che peraltro provengono da un'altra scuola. 
Solo di alcuni ragazzi conosciamo l'estrazione sociale, ma sempre per brevi accenni al lavoro del proprio padre: c'è il "raffinato" Cselec, il figlio di un medico e il figlio di un avvocato.  Gli unici padri che entrano nella storia sia pure per poco sono il padre di Gereb e quello di Nemecsek. Ed entrambi hanno rispetto ai propri figli somiglianze e differenze.
Il padre del traditore Gereb è un padre giusto che vedendosi arrivare a casa il figlio in lacrime perché accusato di tradimento dai suoi compagni, va da loro non per difendere il proprio figlio, perché è il proprio figlio, ma per sentire se la fondatezza delle accuse che gli sono state rivolte è reale: "io sono un uomo d'onore e non posso tollerare che mio figlio tradisca i suoi compagni".
Ed ancora una volta sarà il piccolo Nemecsek a fare la differenza, discolpando Gereb agli occhi di un padre onorevole. Per rispetto di quel padre.
Il padre di Nemecsek è l'obbediente che, però, a differenza del piccolo figlio non appare mai capace di riscattarsi: non disobbedisce mai neppure quando di là suo figlio sta per esalare l'ultimo respiro ed un cliente disinteressato al suo dolore di padre gli fa fretta perché finisca il suo abito. 
I ragazzi della via Paal hanno uno statuto, possiedono un "libro nero", verbalizzano le loro sedute, svolgono regolari votazioni e altrettanti discussioni: c'è un'applicazione pratica dell'essere gruppo e di come gestirlo. E quando  l'elemento che cerca un riconoscimento altro nel gruppo, non avendolo ottenuto, tradisce, egli perde la fiducia dei traditi e non riesce a guadagnarsi neppure quella della banda cui si vende: se ha tradito una volta, potrà rifarlo ancora. E sebbene torni poi sui suoi passi, la sua condotta resterà sotto osservazione non senza qualche sospetto che continuerà ad affiorare ogni tanto.
Ha senso fare conoscere questo romanzo ai ragazzi di oggi? Io credo di sì e chi è giunto a leggere il post fin qui avrà anche capito perché. ♥️


lunedì 6 gennaio 2020

Animali fantastici dove trovarli ...in Pinocchio e come ri-usarli 😉

La visione del film di Matteo Garrone, Pinocchio, ha avuto in me un unico effetto: mi ha fatto venir voglia di tornare a rileggere integralmente il romanzo di Carlo Collodi del 1883.
Così tra ieri sera e stamane l'ho fatto, servendomi dell'edizione Salani del 2009 della collana "Gli Istrici" che comprai qualche anno fa per Celeste. Un'edizione, quest'ultima, che è peraltro preceduta da una bellissima biografia dell'altro papà di Pinocchio, Carlo Lorenzini poi Collodi: s'intitola "L'uomo Collodi", risale al 1955 ed è stata scritta dal toscano Felice del Beccaro. Da leggere♥️ Se il fine cui un film ispirato ad un grande classico mira è quello di riportare gli spettatori al libro da cui la storia è uscita, per quanto mi riguarda Garrone è riuscito nell'intento.
E così, ripercorrendo le avventure del burattino che faticosamente giungerà a trasformarsi in bambino, mi sono ritrovata a pensare all'uso, anzi al ri-uso che degli animali fantastici incontrati lungo la storia da  Pinocchio si potrebbe fare in classe. Ho scoperto, peraltro, cercando in rete notizie in merito ad eventuali bestiari ricavati dal romanzo di Collodi, oltre ad un albo illustrato utilissimo, ad esempio con i più piccoli, un saggio scritto da Delfino Tinelli "Gli animali di Pinocchio e altre figure", edito da Mannarino e risalente a soli tre anni fa. Tinelli ha passato in rassegna tutte le figure animali che popolano le avventure del burattino, suddividendole in ammonitori, soccorritori e antagonisti del burattino. 
Un lavoro, quest'ultimo, che in classe potrebbe trovare attuazione quale attività ponte tra i due generi di cui il romanzo di Pinocchio si nutre: la favola e la fiaba, spesso sovrapposti anche nella denominazione del libro di Collodi. Pinocchio è, infatti, favola-per i tanti animali umanizzati che vi incontriamo- ma è anche fiaba- per la magia che ivi compare e di cui la fatina è detentrice- ed è avventura, come leggiamo in particolare nel titolo definitivo che Collodi diede al suo romanzo: da La storia di un burattino a Le avventure di Pinocchio. 
Che farcene dunque di tutti questi animali fantastici una volta che li avremo rintracciati lungo la avventure del loro amico/nemico burattino? Usarli ri-creativamente😃
Perché ad esempio non provare a far raccontare l'episodio di cui sono co-protagonisti con Pinocchio dal loro punta di vista?Oppure provare a farne incontrare alcuni tra loro e a farli dialogare sul burattino, sul suo agire trasgressivo? Di esercizi ricreativi se ne possono davvero pensare tanti e si potrebbe persino dare ai ragazzi il compito di cercare le occasioni di incontro per gli animali della storia di Pinocchio. 
E ancora filastrocche in "versi perversi", dialoghi, scenette teatrali, monologhi: tante tipologie testuali diverse quasi quanti sono gli animali che lungo le avventure del burattino lui e noi incontriamo.  I quali animali, peraltro, dal momento in cui fanno il loro ingresso nella storia, prendono vita. Ma da dove arrivano? Cosa hanno fatto prima di comparire lì dove Pinocchio e noi lettori li conosciamo? E se con il pulcino del quinto capitolo il gioco è presto fatto, non lo è con gli altri. Persino del centenario Grillo potremmo provare a far immaginare ai ragazzi un antefatto che ci parli di come sia finito a vivere lì e di chi magari prima di Geppetto abitasse in quella casa.
"Animali fantastici, dove trovarli e come riusarli" potrebbe perciò essere il titolo di un'attività laboratoriale ispirata alla storia del burattino che, pertanto, i ragazzi rileggerebbero integralmente andando "a caccia"- si fa per dire- dei suoi animali! 
Così oltre ai più noti compari  Gatto e Volpe, conoscerebbero il povero Merlo bianco e poi il Falco che libera Pinocchio dal cappio con cui i due assassini lo imppiccano. E poi il Can Barbone Medoro, il cocchiere della Fata turchina, i dottori Corvo e Civetta che "batti-beccano" per davvero, e  i quattro Conigli becchini, servitori della Morte. Ancora i Picchi giunti ad accorciare il naso lungo del bugiardo burattino in casa della fatina e dopo il  Pappagallo che si spollina le penne e ride del beffato Pinocchio quando lo vedrà affannarsi in cerca  delle monete interrate perché germogliassero. Poi c'è il giudice Gorilla, ma anche il Serpente morto dalle risate: come non pensare ad un altro Serpente e ad altro bambino, il piccolo principe di Saint-Exupery.  Ed anche la Lucciola che fa la predica al Pinocchio ladruncolo, il quale poco dopo si riscatta con le Faine ladre e imbroglione, facendole smascherare. Ma Pinocchio ha un cuore tenero e non smaschererà il defunto cane Melampo di cui le faine gli hanno, però, svelato la corruttibilità. Infine il Colombo che lo accompagna sul mare dove il babbo Geppetto è naufragato con la sua barchetta in cerca del figliolo ed il Delfino che gli parla per la prima volta del tremendo Pescecane. C'è anche un Granchio che tenta di arbitrare  la guerra sulla spiaggia tra Pinocchio e i suoi compagni-una scena interessante quest'ultima sul tema dell'uno contro tutti a scuola- . Come dimenticare la lenta e fedele serva della fata, la Lumaca ed inoltre il cane mastino Alidoro che prima insegue Pinocchio ma giacché da questi verrà salvato quando rischia di annegare, ne ricambierà poi il favore quando il burattino sta per finire nella padella del verde pescatore. Il  Ciuchino e  la Marmottina sono incontrati da Pinocchio l'uno mentre è in viaggio verso il Paese dei Balocchi e l'altra quando mesi dopo si risveglia con un bel paio d'orecchie d'asino.  Persino la fata turchina si trasforma in animale sul finire della storia, divenendo la Capra sullo scoglio che tenta di salvare Pinocchio dalle fauci del Pescecane: qui mi viene in mente la Capra Amaltea che salva, allevandolo, il piccolo Zeus la cui madre, Rea, mette in salvo dalle fauci del padre Cronos. Nel ventre del mostro marino,ove, però, Pinocchio è destinato a finire egli conoscerà un Tonno dal cuore così tenero...che si taglia con un grissino😊♥️.
"Un classico è un libro che non ha mai finito di dire ciò che ha da dire": è il romanzo di Collodi lo è.♥️

venerdì 3 gennaio 2020

Storia di un gatto verde e di un cane dello stesso colore e di come i Freud ci insegnano a raccontarne

In questi ultimi giorni di vacanze😥 sto leggendo il romanzo "L'interpretatore dei sogni" di Stefano Massini. Non conoscevo nulla di Massini prima di leggere questo splendido romanzo, uscito nel 2017, che dalle prime pagine si rivela straordinario e avvincente. Massini immagina un quaderno-diario di Freud, reinventando l'interpretatore dei sogni, raccontandoci la genesi della teoria freudiana dei sogni, a partire da una sorta di "sogno-madre", generatore di metodo.
Ringrazio Valeria per avermi ancora una volta suggerito una sì interessante lettura♥️
L'obiettivo di questo post, però, non è recensire il romanzo di Massini, quanto piuttosto suggerire la lettura di un brano in classe tratto dallo stesso quale esemplificazione per spiegare ai ragazzi la questione del punto di vista in una narrazione.
Il brano appartiene al terzo capitolo del romanzo, "Sarabanda al parco", in cui la voce narrante (Freud) racconta di una giornata al parco con la sua famiglia (moglie e tre figli), durante la quale i quattro s'imbattono in un gatto tinto di verde.  Il racconto primo dell'incontro  tra il gatto ed i Freud il lettore lo ascolta dalla stessa voce narrante
"Un gatto si aggirava guardingo tra i cespugli, attento a nascondersi ma al tempo stesso puntando chissà cosa, per niente turbato dal fatto che il suo pelo dal collo in giù gocciolasse di vernice verde. Ma lo spettacolo non finì lì, perché giusto in quell'istante ecco sopraggiungere un vecchio imbianchino, che disperatamente inveiva come un forsennato contro un cane a sua volta tinto. Il gatto vide il cane e si diede alla fuga, cosicché la folla dei bambini poté godere di un autentico numero circense: un imbianchino all'inseguimento di un cane mezzo verde che per par suo inseguiva un gatto dello stesso pigmento"
 Al racconto della voce narrante segue, al rientro a casa dei Freud, quello che la moglie Martha e i tre bambini, Mathilde, Jean-Martin e Oliver fanno rispettivamente dello stesso fatto alla loro domestica. La voce narrante riporta così le singole versioni in ordine di età, dalla quella della più grande a quella del più piccolo di casa (pp. 29-30). Segue una puntuale analisi delle quattro versioni dentro le quali la voce narrante/Freud rileva la presenza di elementi differenti pur dello stesso fatto: "è come se i miei familiari non avessero potuto resistere alla tentazione di leggere comunque se stessi in ciò che accadeva" dice al termine della sua analisi il Freud narratore. Che a conclusione del capitolo aggiunge: "Siamo il nostro discorso. Siamo la nostra ricerca. Siamo la nostra luce nel buio. Solo in apparenza parliamo del mondo. L'unico mondo di cui parliamo porta la nostra faccia".
Si potrebbe rivelare un esercizio interessante pertanto in classe quello di mettere al confronto la "versione di Freud" con quelle dei suoi familiari, provando a far tirare fuori ai ragazzi, magari per gruppi di lavoro , ciò che di ogni versione salta ai loro occhi. Poi confrontare ciascuna analisi con quella fatta dalla stessa voce narrante all'interno del romanzo, notando analogie e differenze nella comparazione. E infine assegnare un compito per la famiglia: chiedere di provare a sedersi tutti intorno ad uno stesso tavolo e scrivere la propria versione di un'esperienza comune, magari approfittando del fatto che si è stati in vacanza ultimamente e che qualche po' di tempo insieme lo si è trascorso. Diventa un'interessante esperienza di confronto per i ragazzi non solo sul punto di vista della narrazione, ma anche sui diversi punti di vista innanzi ai quali ci si ritrova spesso e che dovrebbero servire a  generare confronti non scontri. Un compito di realtà, di quelli che piacciono tanto alla scuola di oggi🤐...però formato famiglia.😊♥️
All'allievo/a il compito finale di farsi raccoglitore delle versioni di famiglia e voce narrante delle stesse, come  l'interpretatore dei sogni di Massini.