mercoledì 28 dicembre 2016

La staffetta delle valli di Patrizia Marzocchi

"La staffetta delle valli" è un romanzo storico per ragazzi dell'autrice Patrizia Marzocchi.
La vicenda ha inizio il 2 giugno del 1946, giorno in cui Matilde, madre di Rosa,  sta per recarsi a votare per la prima volta. La sedicenne Rosa, protagonista e voce narrante della storia, assiste alla vestizione della madre, che ha combattuto nelle file dei partigiani  della XXVIII brigata Garibaldi, al seguito del comandante Bulow (Arrigo Boldrini), per la liberazione delle valli di Ravenna: "si è vestita con la cura di chi deve andare all'esame più importante della sua vita oppure a una festa" , pensa la ragazza osservandola. Rosa, infatti, è nata sotto il fascismo periodo durante il quale "sembrava normale che non ci fossero elezioni, che si dovesse obbedire senza discutere  a Mussolini e ai suoi uomini di nero  vestiti".
Quella mattina, dopo che Matilde esce di casa per recarsi al suo primo appuntamento con le urne, Rosa si lascia sopraffare dalla malinconia e si abbandona al ricordo degli anni appena trascorsi: si rifugia in soffitta e apre il baule piccolo, estraendone l'album delle fotografie.  Rosa lo sfoglia alla ricerca dell'unica foto che la ritrae bambina nel suo primo giorno di scuola:  lì dà la mano a Francesco che insieme a lei, Giacomo, Ernesto, Luisa e Ultimo "procedono allineati con le cartelle dei libri in mano, colti alle spalle dal fotografo". E nella contemplazione di quel gesto Rosa  ritrova  " un po' il senso delle cose: [...] come se in quel gesto tenero, immortalato per sempre, sia rappresentato tutto ciò che una guerra può distruggere". Ha inizio così un lungo flashback che occupa l'intera narrazione, la quale torna al tempo iniziale solo nel ventisettesimo ed ultimo capitolo.
Dal secondo al quinto capitolo, infatti, Rosa comincia a parlare di sé, ricordando gli anni della sua infanzia: ci racconta del suo papà, Aldo, mezzadro insieme al fratello Bruno nella proprietà  del conte, lontano parente di Matilde, madre di Rosa. Rosa e la sua famiglia (mamma, papà e  il fratello  Giacomo) vivono in un casolare a circa tre chilometri dal piccolo borgo in provincia di Ravenna, distante dalla città  una ventina di chilometri. Nello stesso casolare vive la famiglia di zio Bruno, composta anche da zia Vanna e dai tre figli Luisa, la maggiore, e i gemellini Giuseppe e Maria. Poco distante dal casolare di Rosa vive Ultimo, amico di Rosa, ultimo nato dopo cinque femmine di un'umile e povera famiglia di pastori. Ernesto e Francesco sono, invece, i Nobili fratelli: sono i nipoti del conte, cugino alla lontana della madre di Rosa, la quale è in definitiva rotta con il nobile parente dopo l'adesione di quest'ultimo al regime di Mussolini.I conti  vivono nella villa collegata al borgo dal sentiero principale, pertanto chiamato la stradone. Essi rappresentano l'elite del borgo, insieme alla famiglia dei farmacisti, i cui figli (tre maschi, tra cui Ennio, ed una femmina di nome Lucrezia) saranno ribattezzati da Rosa e dai suoi amici "I lividi".  Sono gli anni dal '36 al '43, anni nei quali Rosa, opponendosi  caparbiamente al divieto iniziale della madre, inizia a praticare la caccia alle anguille lungo i canali del posto, insieme al suo papà, il quale è anche un bracconiere (pescatore di frodo). Rosa impara così a conoscere ogni particolare di quei luoghi,  muovendovisi  per mezzo della sua barchetta con destrezza e abilità.  Papà, durante le loro uscite in barca, le racconta la storia delle anguille giunte lì dal lontano Mare dei Sargassi, e Rosa lo ascolta tutte le volte incantata. La storia delle anguille  verrà narrata al lettore per intero e a due voci solo alla fine del romanzo, nell'ultimo capitolo.
Ad un certo punto, però, la guerra irrompe brutalmente nella vita di Rosa,  dei suoi piccoli amici, delle loro famiglie, stravolgendone  ritmi, abitudini e soprattutto spezzando per sempre legami che, agli occhi di Rosa, sarebbero rimasti saldi. È allora che Rosa  comprende ciò che spesso da bambina sentiva ripetere alla madre:" c'è un confine che la nostra dignità non ci permette di oltrepassare, costi quel che costi".  Questa frase diventerà il monito di Rosa, il cui nome di battaglia sarà "Jo" - "Giò" dialettizzato- , come una delle eroine del suo libro preferito, "Piccole donne". Rosa, infatti, diventerà una staffetta partigiana, proprio grazie alla destrezza con cui sa muoversi  all'interno dei canali: nominata  staffetta dei canali, sarà incaricata di mantenere i collegamenti tra le valli e l'isola degli spinaroni. L'isola degli spinaroni è un luogo reale del ravennate,  teatro degli eventi storici di quegli anni. Si tratta di un'isoletta della Pialassa di Ravenna, nota per essere stata sede del “Terzo Lori”, VI Distaccamento della Brigata Partigiana Garibaldi da settembre a dicembre 1944: il 4 dicembre del '44 si compì,infatti, la cosiddetta "operazione Teodora" nome con il quale passa alla Storia la liberazione di Ravenna.
La Pialassa di Ravenna detta della Baiona si colloca a 10 km a nord di Ravenna: comprende circa 1100 ettari di zone umide collegate al mare Adriatico unicamente dal Canale Candiano e dalla bocca dell'area portuale di Porto Corsini.
L’etimologia del termine "Pialassa" deriva probabilmente dal sistema dinamico che regola questo tipo di lagune, che ricevono ("piala"= piglia) e restituiscono ("lassa"=lascia) l’acqua marina a seconda dei livelli di marea che oscillano nel corso della giornata.
È caratterizzata da specchi d’acqua aperti, alternati a canali artificiali e dossi (detti barene). Oggi è possibile compiere il percorso lungo i canali della Pialassa attraverso barche elettriche, prenotando l'escursione presso l'ANPI  (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) di Ravenna, visitando così i luoghi della Resistenza delle valli ravennati, ove la lotta partigiana ebbe modo di "pianurizzarsi", cioè organizzarsi in pianura, proprio grazie alle capacità strategiche del comandante Bulow. 
Ai lettori de "La staffetta delle valli"  si offrirebbe pertanto la possibilità di  vivere le avventure di Rosa lungo i canali, ripercorrere gli stessi luoghi che l'autrice di questo libro ci ha permesso di immaginare attraverso la sua protagonista e magari osservare  anche qualcuna delle indefesse anguille viaggiatrici, augurandole buon ritorno a casa!
Buona lettura
P.S. Seguirà link nel quale gli allievi della III C troveranno il quiz che svolgeremo insieme in classe quale prova di comprensione del testo e un gioco sui personaggi.I suddetti lavori non saranno oggetto di valutazione da parte dell'insegnante ma serviranno a sciogliere eventuali nodi irrisolti emersi durante la lettura. A questi lavori, pertanto, farà seguito una prova di comprensione del testo su uno dei capitoli del romanzo; inoltre almeno due tracce del prossimo tema in classe saranno legate alla trama de "La staffetta delle valli". 

martedì 20 dicembre 2016

venerdì 16 dicembre 2016

Lezioni di Italiano (Sabatini)

Interessante riflessione sull'uso passato (e sull'abuso odierno!) delle abbreviazioni nella scrittura: ne parla Sabatini nel suo ultimo libro "Lezioni di Italiano" edito da Mondadori .

martedì 22 novembre 2016

Carta d'identità fisica dell'Italia

Segui il link che ti guiderà verso lo schema guida su cui abbiamo lavorato in classe a proposito della carta d'identità fisica dell'Italia

Testo della verifica svolta in classe il 16 novembre 2016 (per seguire la correzione in classe attraverso la lim)

domenica 20 novembre 2016

La caduta dell'impero romano spiegata da Alberto Angela (video)

Video sulla caduta dell'impero romano
Il video, della durata di soli 24 minuti, ruota  intorno a tre domande-chiave:
1) la caduta dell'impero romano, in particolare della sua parte occidentale, fu solo colpa dell'arrivo dei cosiddetti barbari?
2) chi erano questi barbari e quali erano i loro rapporti con i Romani nei secoli che precedono la caduta dell'impero?
3) com'era diventato l'impero a partire dal III secolo, chiamato "secolo della crisi"?
Lungo il viaggio, il conduttore si sofferma su una serie di date che ci permettono di seguire meglio il suo racconto-descrizione:
- il 117 d.C (anno della fine del regno di Traiano): massima espansione dell'impero;
- il ricordo di una massiccia migrazione: quella dei Cimbri e dei Teutoni nel II sec. a C (la fama del barbaro saccheggiatore);
- le cosiddette prime incursioni: a partire dal 260 d. C ;
-Il fallimento dell'esperienza tetrarchica di Diocleziano ;
-il 306 d.C.: il regno di Costantino e lo straordinario aumento dell'esercito portato a mezzo milione di soldati (mercenari germanici pagati con il "solidus"): cambia il modo di combattere dell'esercito "romano-barbarico";
-il "tamponamento a catena" causato dagli Unni e l'ingresso dei Visigoti che da rifugiati dentro i confini si trasformarono in invasori bellicosi(battaglia di Adrianopoli);
-il 405  a Treviri e altri città germaniche e il 406 in Gallia: cosa accadde?
-il sacco di Roma ad opera dei Visigoti nel 410;
-il 455 e i Vandali di Genserico ;
la penisola italiana: l'unica nella quale fino al 476 non si erano formati regni; l'ammutinamento dell'esercito guidato da Odoacre e la sua deposizione del piccolo imperatore Romolo Augustulo;
-l'arrivo degli Ostrogoti di Teodorico nel 488 e la tentata convivenza tra barbari e romani.

domenica 6 novembre 2016

Breve excursus sulle forze dell'ordine in Italia

La sicurezza dei cittadini italiani e di tutte le persone che vivono in Italia è garantita dalla Polizia di Stato, dai Carabinieri e dalla Guardia di Finanza, che insieme alla Polizia Penitenziaria e al Corpo Forestale costituiscono le Forze dell’Ordine

La Polizia di Stato ha il compito principale di garantire la sicurezza dei cittadini e di mantenere l’ordine pubblico. I Poliziotti lottano contro la criminalità; fanno rispettare le leggi; vigilano sull’ordine pubblico per prevenire reati e disordini, vengono in soccorso di tutti in caso di incidenti.

L’Arma dei Carabinieri è una delle quattro forze armate ed opera nell’ambito del Ministero della Difesa. Oltre ai compiti di carattere militare (come la difesa dello Stato), i Carabinieri hanno anche il compito di garantire la sicurezza pubblica.

La Guardia di Finanza ha il compito di prevenire, ricercare e denunciare il mancato rispetto delle regole dell’economia e della finanza. Ma ha anche il compito di mantenere l’ordine e la sicurezza pubblica e di difendere le frontiere.

La Polizia Penitenziaria ha il compito principale di garantire l’ordine e la sicurezza nelle carceri. Infine, il Corpo Forestale dello Stato è una forza di polizia specializzata nella tutela del patrimonio naturale e paesaggistico.

Le Forze dell’Ordine sono presenti in ogni parte dell’Italia e svolgono il loro lavoro nell’interesse dello Stato Italiano.

Possono arrestare o fermare chi commette reati, come ad esempio chi ruba o chi fa violenza a un’altra persona, sempre in applicazione della legge e con l’autorizzazione o il controllo del Giudice.

Le Forze dell’Ordine, inoltre, svolgono anche compiti di “polizia giudiziaria”, cioè svolgono le indagini sui reati, a loro bisogna rivolgersi per denunciare qualcuno che non ha rispettato la legge. Nello svolgimento di questo compito, dipendono direttamente dal giudice che dirige l’attività investigativa, cioè l’attività di ricerca dei colpevoli dei reati.

Il responsabile della protezione dell’ordine e della sicurezza pubblica è il Ministro dell’Interno.
Approfondimento seguendo il link che rimanda ad un recente articolo del quotidiano Stampa sulle cinque forze dell'ordine italiane

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sabato 29 ottobre 2016

Poesiola sulla Rosa dei Venti

Rosa era bella come una stella,
cercava tra i Venti i suoi pretendenti.

Son l'Ostro e mi prostro.
È il mio primo posto?

Poi giunse dal mare il vento Maestrale:

Al tuo primo posto mi inchino sir Ostro
ma inver poco vale, io sono il Maestrale.

Permesso, permesso,
son giunto or, ora,
che in giro si sappia io sono la Bora;

È giunto tra voi il vento Scirocco,
suonate campane il vostro rintocco!

Scusate se sfreccio
io sono il Libeccio,
non è per capriccio
ma tolgo l'impiccio.

Non vale, non vale
son su per le scale
aprite il portale
io sono il Grecale;

La giovane Rosa rispose un po' ombrosa:

Non basta una prosa
per cogliere Rosa
non dono il mio cuore
se non sento amore!

-- Cleonice Parisi

lunedì 10 ottobre 2016

Sull'orientamento: siti utili

Il sito della regione Piemonte, cui si può accedere tramite il seguente Linkedin, permette di sapere quali percorsi di istruzione e/o formazione sono attivi sul territorio regionale e delle singole province.
Sito orientamento regione Piemonte 

Sugli Istituti Tecnici e Professionali (analogie/somiglianze e differenze)

mercoledì 21 settembre 2016

Estratto da "Il kit del bravo supplente" di Carlo Carzan

Sezione de "i giochi linguistici e con le parole" e "il gioco dei pregiudizi" dal testo di Carzan "Il kit del bravo supplente": ecco il link

sabato 30 luglio 2016

"Il terrazzino dei gerani timidi" di Anna Marchesini

Pubblicato nel gennaio del 2011,"Il terrazzino dei gerani timidi" è stato il primo romanzo di Anna Marchesini che ho letto nel giugno di quello stesso anno. Una passeggiata  lungo alcune "prime volte, quelle in cui si accende la storia e l'esperienza delle cose".
Nel racconto di sé, dei più salienti ricordi di infanzia e della prima adolescenza,  la voce narrante siede sul quel terrazzino "fiorito dei gerani timidi, per lungo tempo recinto silenzioso e imparziale delle sue preziose solitudini".
Dalla sua "stanza tutta per sé" a cielo aperto, la piccola Anna  osserva la vita che la circonda: le sue riflessioni s'intrecciano con il racconto  della vita di altri, di quei personaggi su cui si posa lo sguardo umoristico dell'autrice.
Gli occhi della memoria di una bambina timida e attenta riportano a galla alcune delle figure che più a lungo o con più intensità hanno abitato il paesaggio umano della sua infanzia. Suor Giuseppina "per la quale sembrava non ci fosse ormai piacere maggiore che averla finita con la giovinezza e tutto il resto". Memmo il falegname e la signora Elvira, la "finestrarola" che quasi a volersi consolare della disgrazia toccata al marito, sente "l'urgenza archeologica di conoscere tutti i particolari di una delle disgrazie che deteneva il maggiore mercato nel passaparola". Il povero Terenzio, la cui esistenza, in seguito al dolore per la perdita del suo unico figlio, era stata trascinata "dentro un'area deprivata di memoria, di sensi, di partecipazione [...]  lui che la sua partita col  dolore l'aveva persa e che dentro quella testa inconsolata, cui provvedeva compiacente la maternità della follia" aveva trattenuto qualcosa, "una indelebile traccia, ubiqua, di quella storia" che non si stancava mai di ripetere- Signori alle sette si muore.
Tra questi e altri personaggi, però, quella che più a lungo domina la scena è la figura della madre, maestra di professione e di vita per la piccola Anna, le cui poche ma eloquenti parole, foriere di continui ammonimenti si ergono imponenti nella vita della bambina, empiendo giorno dopo giorno il forziere interiore di quelle "verità"- sul decoro, sugli uomini, sull'"amore"- destinate ad avere un peso non indifferente nella sua vita di bambina, di ragazza e infine di donna.
-Restituiscilo subito -Alzati e cedi il posto -Aspetta il tuo turno! -Stai buona che la mamma si stanca.
Attenzione a non cedere alle cattive tentazioni da fidanzata." Il fidanzato a quel punto mi avrebbe lasciato e io non avrei più trovato nessuno che mi avesse voluto, innanzitutto perché la voce si sarebbe sparsa e poi, ammesso che avessi trovato un altro fidanzato ignaro, di sicuro...Giunta a questa parte della ricostruzione, svaporarono i termini, la mamma si arrestò spossata dallo sforzo dei rifiuti, dalla fatica dei vade retro, dalla flagellazione delle colpe; la lasciai a pregare nell'orto degli ulivi".
E ancora il ricordo va a "quel giorno che la mamma l'aveva abbracciata e le aveva rivelato che lei era nata per caso, non sapeva come, nessuno l'aveva voluta, che la mamma non avrebbe più dovuto avere gravidanze, che tanto aveva pianto perché la sua nascita avrebbe potuto comprometterle la vita  [...] Quella rivelazione l'aveva fatta sentire orfana. E su quella nascita per caso, lei stava cercando di tenersi in piedi senza piangere".
La mamma trasformerà persino la sua "festa" - la prima comunione-  in una penitenza, in un sacrificio da offrire a Dio,  cosa che peraltro puntualmente ella faceva fare alla piccola Anna, costringendola a "scottarsi col dolore degli sconosciuti". Così proprio nel giorno della  sua prima comunione, festa tanto attesa, la mamma porta Anna  a far visita alle tre sorelle del parroco del paese che non escono di casa da almeno un decennio. Il ricordo di quella casa piena zeppa di "relitti di almeno tre generazioni, piena zeppa di gatti" abitata da tre sorelle zitelle, Erminia, Ghita, Caterina e dalla zelante perpetua del fratello parroco, alla quale "era come se ago e filo tenessero cuciti insieme tutti gli elementi del suo viso",  si rivela uno spaccato tragico-comico di vita, anzi di vite. "C'era un racconto infinito che legava quelle sorelle e quella casa e quelle storie, una specie di musica che avrei voluto ascoltare, conoscere e vedere, che avrei voluto sentir narrare".
Sarà di lì a poco la scoperta del teatro ad illuminare la vita della piccola Anna, in una mattina nella quale lei  insieme alla sua classe va ad assistere ad uno spettacolo teatrale, il cui titolo letto sulla locandina le rievoca immediatamente  quello letto su un libricino ricevuto proprio due anni prima in dono da una delle tre sorelle di don Luigi e che Anna, però, non aveva ancora letto. Sul libro, donna Caterina, nel giorno della visita di Anna, aveva scritto anche una dedica: "La vita, mia cara, è piena di complicazioni, perciò bisogna amarla con tutte le nostre forze! Ricordalo". Il libro è "L'uomo dal fiore in bocca" di Pirandello che, dopo lo spettacolo, Anna torna a casa a leggere, lì su quel terrazzo che si trasforma nel suo "quinto elemento naturale, la culla termica della sua nuova silenziosa avventura, la sala da ballo senza imbarazzi e senza posti vuoti, quella in cui gli ospiti invitati le piacevano"[...] .La letteratura diventa di lì a poco il suo grande amore . "E col tempo non furono solo e storie e i personaggi che riuscivo ad avvertire come inquilini che si accomodavano dentro, e con frastuono silenzioso, accendevano luci; quando una scrittura mi piaceva, leggevo tutto di quell'autore, tutto, anche la biografia, così imparavo a riconoscerlo, sentivo la penna, immaginavo l'inclinazione del volto sulla pagina, ne sorridevo".
Rileggendo alcune delle pagine del suo romanzo oggi, giorno in cui Anna non c'è più, portata via da una lunga malattia, una di quelle "complicazioni" di cui la vita è piena, anch'io sorrido, ripensando a ciò che lei, con i suoi personaggi, è stata capace di regalare al suo pubblico, straordinaria come poche nell'arte di far ridere.
"Mi piaceva ridere, mi sembrava che ridere facesse vedere più cose del vero, fosse come sollevare la crosta al mondo, dove si nascondevano le ombre bianche delle cose; la curiosità era per me un'emozione potente [...] quanto potente era esistere- mi dissi- in certi momenti era come se lo stesso universo mi vivesse dentro e cercasse il suo spazio, non mi sarebbe bastata la vita per vivere, non mi bastava e non volevo rinunciarci, era il sogno di vivere che mi colmava dentro come un'isola dalle alte maree".
E allora grazie Anna, per la passione di vivere che sei stata capace di regalarci.

domenica 24 luglio 2016

L'islam spiegato ai nostri figli e agli adulti che vogliono rispondere alle loro domande

Quando Tahar Ben Jelloun ha scritto e pubblicato questo libro, nel 2001, la data dell'11 settembre aveva appena fatto il suo tragico ingresso nella storia contemporanea, inaugurando una nuova era, quella nella quale l'appartenenza al mondo arabo e musulmano preoccupa e spaventa.
"Papà io sono musulmana?"
"Sì, come i tuoi genitori"
"E sono anche araba?"
"Sì, sei araba, anche se non parli questa lingua"
"Ma hai visto anche tu la televisione: i musulmani sono cattivi, hanno ucciso molte persone; io non voglio essere musulmana"
"E allora cosa pensi di fare?"
"D'ora in poi a scuola non rifiuterò più la carne di maiale in mensa"...
È così che ha inizio il racconto dialogico tra padre e figlia: lui è l'autore franco marocchino Tahar Ben Jelloun che, tra le sue tante opere, nel 1998 aveva già pubblicato un volumetto didascalico, "Il razzismo spiegato a mia figlia", giunto oggi alla sua quarantottesima edizione .
"L'islam spiegato ai nostri figli e agli adulti che vogliono rispondere alle loro domande" nasce, come si è detto prima, da un'occasione contingente, dalla necessità di condividere, all'indomani dell'attacco alle Torri gemelle, un racconto sull'islam e sulla cultura araba non solo con i propri figli, ma anche con gli altri "bambini -qualunque siano il loro paese, la loro origine, la loro religione, la loro lingua e anche le loro speranze".
Il dialogo generazionale si articola lungo nove giornate per così dire a tema. A premessa della seconda giornata così scrive l'autore:
Ho immaginato cosa sarebbe diventata questa discussione se l'avessi proseguita con dei bambini di età compresa fra i dieci e i quindici anni. Ho immaginato le loro domande, la loro preoccupazione, la loro impazienza.[...] Non cerco di convincere nessuno, racconto il più oggettivamente possibile e nel modo più semplice possibile la storia di un uomo diventato profeta e anche la storia di una religione  e di una cultura che tanto hanno dato all'umanità.
Come ebbe a scrivere una giornalista recensendo un volumetto dall'analoga impostazione ma d'altro contenuto - "La Resistenza spiegata a mia figlia" di Alberto Cavaglion-, anche in questo caso  "fare il punto non significa non avere un punto di vista etico-morale. Una lettura dietetica: si esce dal centinaio di pagine senza il senso di aver ingurgitato chili di panna montata”.
Grazie al suo tentativo di "spiegare" l'islam ai più giovani, Tahar Ben Jelloun è stato più volte invitato ad incontrare il suo pubblico nelle scuole: l'edizione Bompiani del 2016 raccoglie nella Postfazione che segue il dialogo altri scritti dell'autore, due dei quali sono proprio relativi ai rispettivi incontri con gli studenti dei licei di Milano e Torino sull'islam. Alle domande "immaginate" dall'autore all'interno del suo scritto, ogni volta  se ne sono sempre aggiunte di altre e di nuove, come lui stesso scrive: "Quali sono le contraddizioni interne al Corano?"; "Cosa ha fatto secondo lei l'America per meritarsi l'11 settembre?" "Perché gli americani si sono isolati e non sono interessati agli altri?" (le dichiarazioni di Trump oggi in corsa per la Casa Bianca, pertanto, non sono che l'espressione estrema di una certa tendenza americana); "C'è violenza ovunque, cosa fare per risolvere tutti questi conflitti?".
"Un giorno - scrive l'autore - dopo una conferenza alla facoltà di Lettere di Rabat, uno studente si è alzato e mi ha posto questa domanda:" Lei crede in Dio?" Rumore in sala e poi un silenzio sospetto. Immaginavo che tutti  volessero pormi questa domanda, ma solo lui aveva osato . Mi sono preso un po' di tempo e poi gli ho detto: "La cosa non la riguarda: è una questione privata e non sono qui per raccontarvi la mia vita!" Incomprensione, schiamazzi, e poi di nuovo silenzio. Ne ho approfittato per esporre la mia idea di laicità. [...] Mentre me ne andavo una ragazza con il foulard mi ha avvicinato per dirmi:" Detto tra noi, lei è un credente; non è possibile che una persona come lei non sia un buon musulmano".
È proprio la prospettiva laica quella dalla quale l'autore guarda ed invita a guardare non solo l'islam ma ogni religione, la stessa prospettiva che è alla base di questo libro e che  potrebbe dirsi ricetta capace di "ripulire" la religione, ogni religione, dal fanatismo e dall'intolleranza.
"La laicità non è la negazione della religione; al contrario è una forma di rispetto nei suoi confronti, nella misura in cui è vissuta nella sfera privata e non pubblica [...] Il suo fondamento è che il credo religioso non interferisca con il campo politico e culturale".
Già Averroè, vissuto nel XIII,  nato a Cordova, importante regno arabo nel Medioevo, e costretto a fuggire da lì proprio per le sue idee e a morire poi esule in Marocco, aveva parlato per primo della necessità di attribuire una certa logica al fatto di credere, aveva fatto notare che la religione musulmana veniva utilizzata con secondi fini e che c'erano al suo interno sette, clan di persone che si rifiutano di discutere e di accettare il contributo degli stranieri. Le sue denunce, però, non furono condivise dai politici di allora. "Da questo momento, - scrive Tahar Ben Jelloun a conclusione della sesta giornata del suo racconto dialogo- la cultura musulmana sarà contaminata dal fanatismo e dell'intolleranza."
Dopo i secoli d'oro della cultura araba, tra il IX e il XII, secoli nei quali la lingua e la cultura araba furono per il Medioevo ciò che la civiltà greca era stata per l'antichità, ha inizio la decadenza:  la Storia ci racconta  dell'appoggio richiesto dai califfi ai mercenari selgiuchidi, per la difesa del proprio territorio che porterà i Turchi di lì a poco a prendere il potere politico. Della crisi di un così vasto impero, quello arabo-musulmamo, diviso al suo interno tra regni sunniti- quelli ad esempio di Cordova e Baghdad- e regni sciiti - quello di Al Cairo- approfitterà la Chiesa occidentale con le sue Crociate, tra XI e XIII secolo, gli stessi secoli durante i quali i principi cattolici della penisola iberica metteranno in atto la loro Reconquista.
A partire dal 1492, il mondo cambia: non solo l'ultimo baluardo della cultura araba in occidente crolla- Granada- ma s'interrompe la pacifica convivenza tra ebrei e musulmani realizzatasi in Andalusia, da dove sia gli uni che gli altri verranno perseguitati e deportati. L'unica alternativa per quanti vorranno restare sarà  il battesimo o la morte, sebbene anche dopo la conversione ai "mori", come erano chiamati, non venisse risparmiata la persecuzione.
È lì che storicamente ha  inizio l'isolamento del mondo arabo, scrive Tahar Ben Jelloun :" gli sarà vietato di avere relazioni commerciali con l'Europa; la filosofia araba continuerà a essere insegnata nelle università europee ma, nello stesso tempo, smetterà di svilupparsi e soprattutto di essere studiata nel mondo arabo-musulmano. Al suo posto, al posto della filosofia che ci insegna il metodo, il dubbio e la riflessione, che ci apre orizzonti diversi e molteplici sul pensiero degli altri popoli, verrà insegnata solo e unicamente la religione islamica. E chi dice religione dice credenza, assenza di riflessione e di dubbio".
Ecco perché secondo lui è sul piano della conoscenza che la lotta al terrorismo oggi va combattuta. "L'Europa deve studiare il modo più scientifico per lottare contro i vari elementi di fanatismo islamico" . Lo deve "ai tanti cittadini musulmani che vivono nei suoi territori e fanno progressivamente parte del suo paesaggio umano", lo deve a quanti l'islam non lo conoscono affatto se non per pericolosi luoghi comuni  che oggi portano gli  stessi  ad associare l'essere musulmano con l'essere fanatico e intollerante verso chi non pratica l'islam.
L'islamizzazione delle menti va arginata: Tahar Ben Jelloun la definisce come una sorta di "colonizzazione delle mentalità da parte di quest'ignoranza che autorizza qualsiasi uomo pieno di sé ad erigersi a imam, a fare prediche e a dare consigli, a dare ordini, in relazione alla condotta della vita intima di ciascuno".
Gli islamisti si servono  dei canali della televisione satellitare nei paesi del Golfo e del Vicino Oriente per mandare in onda di continuo una propaganda contro la Ragione, lo sviluppo, lo spirito di libertà e di laicità, contro l'Occidente, che fa presa sui cosiddetti spiriti deboli, ecco perché  è proprio in Occidente che la battaglia laica va combattuta sul piano culturale.
Come? Ad esempio, non lasciando le moschee europee in mano a coloro che utilizzano l'islam per ragioni che non hanno nulla a che fare con la religione.
Ibd Kaldhun nel XV secolo, Al-Afghani nel XIX e Mohammed Abduh nel XX, saggi arabi, studiosi della loro stessa società hanno parlato dell'importanza di cambiare alcune regole e abitudini nel modo di praticare la religione, di riformarla, poiché l'interpretazione letterale di un testo che fa riferimento per moltissimi  aspetti ad un'epoca assai lontana, di quindici secoli fa, è un  modo riduttivo, schematico e caricaturale di interpretare il messaggio del profeta Maometto.
Nel marzo scorso, all'indomani degli attentati terroristici  in Belgio, tante testate giornalistiche hanno parlato della grande moschea saudita in Belgio, sorta in un antico palazzo che nel 1967 il re Baldovino pensò di cedere in affitto per 99 anni all’Arabia Saudita, in occasione della visita di re Faisal ben Abdelaziz. Erano anni nei quali  l’immigrazione musulmana stava diventando significativa, i fedeli islamici avevano bisogno di un luogo di culto e gli affari con i petrolieri sauditi non ne avrebbero certo sofferto. Le autorità saudite hanno fatto di quel luogo il centro in Europa per la diffusione del wahabismo, la linea di pensiero estremista alla base delle organizzazioni terroristiche di matrice islamica  in Europa. Oil for Islam, titolava qualche giornale dopo gli attentati terroristici di Bruxelles. Forse, però, sarebbe stato più corretto dire Oil to islamize.  

venerdì 22 luglio 2016

Diario partigiano" di Ada Gobetti, una donna della Resistenza.

Ada Gobetti è l'autrice di "Diario partigiano", lettura alla quale mi sono dedicata nella prima decade di luglio.
La narrazione prende l'avvio dal pomeriggio del 10 settembre del '43, due giorni dopo l'occupazione militare del paese da parte dei tedeschi, che da alleati degli italiani in guerra -dal '40 al '43- ne diventano  nemici in seguito alla firma da parte di questi ultimi   dell'"armistizio" (una "resa senza condizioni")  con gli angloamericani. L'accordo con coloro  che da allora in poi verranno chiamati Alleati, fu firmato il 3 settembre a Cassibile, località siciliana nei pressi di Siracusa,  e  venne reso noto l'8 settembre,  prima attraverso Radio Algeri per bocca del generale inglese Eisenhower e, circa un'ora più tardi, dai microfoni dell'EIAR  da Pietro Badoglio, maresciallo al quale il re Vittorio Emanuele III aveva affidato il governo militare del paese, dopo che nel luglio dello stesso anno Mussolini era stato destituito dallo stesso Gran Consiglio del Fascismo.
Così scrive Ada all'inizio del suo racconto:" Capivo, pur confusamente, che s'iniziava per noi un periodo grave e difficile, in cui avremmo dovuto agire e lottare senza pietà e senza tregua, assumendo responsabilità, affrontando pericoli d'ogni sorta. Tutto questo personalmente non mi spaventava; il mio ideale di bambina, di adolescente - e in fondo in fondo, ahimè, anche di persona adulta - non era stata forse "la piccola vedetta lombarda"?".
"Confusamente" è  parola che torna di nuovo in una delle pagine finali dell'opera, poco dopo la liberazione di Torino del 28 aprile 1945:
"Confusamente intuivo però che incominciava un'altra battaglia: più lunga, più difficile, più estenuante, anche se meno cruenta. Si trattava ora non più di combattere contro la prepotenza, la crudeltà e la violenza, - facili da individuare e da odiare, - ma contro interessi che avrebbero cercato subdolamente di risorgere, contro abitudini che si sarebbero presto riaffermate, contro pregiudizi che non avrebbero voluto morire: tutte cose assai più vaghe, ingannevoli e sfuggenti. E si trattava inoltre di combattere tra di noi e dentro noi stessi, non per distruggere soltanto, ma per chiarire, affermare, creare; per non abbandonarci alla comoda esaltazione di ideali per tanto tempo vagheggiati, per non accontentarci di parole e di frasi, ma rinnovarci tenendoci "vivi" [...] Sapevo che saremmo stati in molti a combattere questa  dura battaglia: gli amici, i compagni di ieri, sarebbero stati anche quelli di domani. Ma sapevo anche che la lotta non sarebbe stato un unico sforzo, non avrebbe avuto più un unico, immutabile volto; ma si sarebbe frantumata in mille forme, in mille aspetti diversi [...] Tutto questo mi faceva paura. E a lungo in quella notte mi tormentai, chiedendomi se avrei saputo essere degna di questo avvenire, ricco di difficoltà e di promesse, che m'accingevo ad affrontare con trepidante umiltà".
Tra la confusa percezione di ciò che attende il nostro paese nel settembre del '43 e la trepidante attesa di quel che l'Italia sarà dopo il 1945, ci sono l'agire e gli attori di quei venti mesi di lotta, di quella  “guerra per bande” che, come scrive Alberto Cavaglion nel suo saggio La Resistenza spiegata a mia figlia appare la "definizione più appropriata per quella guerriglia confusa che si propone di rendere precario il controllo nazifascista del territorio, che organizza puntate offensive verso installazioni o presidi, sabotaggi alle comunicazioni o azioni mirate a destabilizzare in specie le amministrazioni fasciste (requisizione di grano o di bestiame)."
E Ada Gobetti chi è stata? 
Si chiamava  Ada Prospero da nubile, era torinese, nata nel 1902 da padre svizzero e madre d'origine slava. Ada Prospero è, però, meglio conosciuta come  Ada Gobetti, dal cognome dell'uomo che ella sposò nel 1923 e del quale fu, prima ancora che sposa, collaboratrice intelligente delle sue lotte e iniziative: Piero Gobetti, pensatore e politico torinese.
Ada e Piero si erano conosciuti al liceo che entrambi frequentavano, il liceo classico "V.Gioberti" di Torino nel 1916. Con Piero Ada aveva condiviso il sogno di una "rivoluzione liberale", nome dato anche ad una rivista pubblicata a partire dal 1922, con  l'intento  "di venire formando una classe politica che abbia chiara coscienza delle sue tradizioni storiche e delle esigenze sociali nascenti dalla partecipazione del popolo alla vita dello Stato". Piero Gobetti fu uno dei più convinti nemici del fascismo sin da subito: in un telegramma del 1924 Mussolini ordinava perciò al prefetto di Torino di «rendere la vita difficile a Piero Gobetti, insulso oppositore del governo e del fascismo». La prefettura su ordine di Mussolini fece sospendere la pubblicazione di "Rivoluzione liberale" nel 1925. La persecuzione da parte del regime, inoltre, condusse di lì ad un anno Gobetti prima  all'esilio e poi alla morte: egli morì, infatti,  giovanissimo, nel 1926, all'età di soli 25 anni, nell'esilio parigino cui era stato costretto, dopo aver subito una violenta aggressione fisica squadrista all'uscita dalla sua casa editrice, la "Piero Gobetti editore".  Ada, vicina al marito fino alla fine, rimase perciò vedova giovane, ad appena 24 anni e con un figlio, il piccolo Paolo, nato poche settimane prima che Piero morisse. Ma la morte dell'uomo che aveva amato e ammirato non fece affatto diminuire in Ada la volontà di prendere parte alla lotta contro la dittatura fascista nella quale  è coinvolto in prima persona anche Paolo che nel '43 ha appena diciotto anni:
"Tremavo per mio figlio che vedevo lanciato così decisamente verso l'azione. Cercai di parlargliene nel pomeriggio [del 10 settembre ndr] sul terrazzo dominato dal Rocciamelone, legato al ricordo di tante ore lontane d'innocente riposo e di giochi sereni [...] Non c'era bisogno di prendere decisioni, disse. Ci avrebbe pensato la situazione stessa a dirci quel che bisognava fare. Per lui era tutto così semplice. Ma forse aveva ragione. In momenti simili parole e programmi erano inutili. Avremmo fatto giorno per giorno quel che avremmo sentito di dover fare".
La casa di Ada a Torino, in via Fabro, quello che negli anni dell'ascesa di Mussolini al potere era stato luogo di incontri per quanti  volevano contrastare il fascismo, continuò dal 10 settembre del '43 a riempirsi di gente. Gli allievi e gli amici di Gobetti si incontravano lì con nuovi antifascisti e nuovi allievi: fu, infatti, in quegli anni, quelli corrispondenti al biennio della Resistenza che quelle persone fondarono il Partito d'Azione, la cui storia fu chiara e unitaria fino alla caduta del fascismo, ma in seguito, di fronte ai nuovi problemi del dopoguerra, si divise in più rami che confluirono in altri partiti della sinistra italiana.
E  la scrittura del "Diario partigiano" da dove nasce?
 L'autrice, come si legge nell'introduzione al testo di Goffredo Fofi, curatore dell'edizione Einaudi del '72,  dichiara che la nascita del Diario è avvenuta anche grazie alle sollecitazioni ricevute dall'amico e filosofo Benedetto Croce, il quale, alla fine della guerra, quando i due si rividero, confessò ad Ada che non riusciva a rendersi conto se non in parte e male di cosa concretamente era stato il fenomeno della Resistenza e della lotta partigiana. Ada aveva preso quasi quotidianamente appunti tra il '43 e il '45, scrivendo in un inglese cifrato comprensibile solo a lei, per paura che tedeschi o fascisti potessero comprendere quanto da lei scritto se mai ne fossero venuti in possesso. Da quella sollecitazione e da quei tanti appunti nasce l'intensa narrazione del "Diario partigiano".
Ada narra, come scrive
Fofi  nella sua introduzione, con quella " [...] calda umanità, semplicità e simpatia che la portarono a capire così bene la ragioni degli altri quando negli altri sentiva una spinta morale simile alla sua, si trattasse di incolti montanari come di raffinati intellettuali."
Nel Diario trovano spazio alla pari sia note figure dell'antifascismo che uomini, donne, ragazze, operai, contadini e montanari che dopo la Resistenza tornarono in tutta semplicità al loro posto di lavoro: tanto i primi quanto i secondi furono gli attori protagonisti della Resistenza.
Il Diario  non è soltanto una descrizione del loro ammirevole valore: la narratrice posa lo sguardo tante più volte sui limiti e le contraddizioni di fatti e personaggi, rifugge da ogni sentimentalismo anche laddove i fatti narrati si fanno più tragici e servendosi semmai di un genuino senso dell'umorismo, sa mettere in risalto spesso anche particolarità e  manie di quanti parteciparono inconsapevoli alle vicende della storia di quel periodo.
Per un'antologia di "Diario partigiano"
In alternativa alla lettura integrale del Diario, per un lavoro d'aula sul tema della Resistenza si potrebbe proporre ai ragazzi una selezione di passi e  brani, una sorta di piccola antologia a tema che permetta loro di cogliere, attraverso il racconto di chi ne fu protagonista, i molti e contraddittori  aspetti di quella dura e disperata lotta.
Ho provato a farlo per servirmene in classe il prossimo anno, selezionando dall'edizione Einaudi del '72   alcune pagine del Diario, facendole opportunamente precedere da un titolo cerniera che  guidi il giovane lettore nel passaggio da un brano all'altro: ne è venuta fuori una sorta di edizione ridotta del testo, corredata di un ampio apparato di note storiche ed esercizi di comprensione dei testi selezionati.

Il rogo di Stazzema" e "Le valigie di Auschwitz": l'infanzia ai tempi della guerra

"Il rogo di Stazzema" e "Le valigie di Auschwitz" sono rispettivamente un racconto e una raccolta di racconti per ragazzi: il primo è stato scritto da Annalisa Strada e Gian Luigi Spini; la seconda da Daniela Palumbo. I due libri sono stati pubblicati dalla casa editrice Piemme nella collana "Il battello a vapore", l'uno nel 2014 e l'altro nel 2011.
Ne " Il rogo di Stazzema" la vicenda principale si snoda lungo il breve arco temporale che va dall'11 agosto 1944- vigilia dell'eccidio di Stazzema- ai giorni immediatamente successivi di cui si racconta solo nell'ultimo capitolo, Come finì senza finire mai.
Nella Nota degli Autori, i due autori del libro riferiscono l'episodio reale cui s'ispira il racconto, pubblicato nel 2014, in occasione del settantesimo anniversario della strage di Stazzema: la storia di Enio Mancini, che all'epoca aveva 6 anni, come il protagonista della storia, Lapo. Lapo e la sua famiglia- il fratello Pietro, nonna Ida e la mamma, nonché  due sfollati, la signora Ornella e il figlio  Filippo-  fanno appena in tempo a fuggire da Sant'Anna, frazione di Stazzema, in provincia di Lucca, la mattina del 12 agosto del '44: è il giorno nel quale quattro reparti della sedicesima divisione Panzergrenadier delle Reichsfuhrer SS, guidati da collaborazionisti fascisti, attaccano Sant'Anna. Fu un attacco immotivato e inatteso poiché il territorio dell'intero comune era stato dichiarato "zona bianca" da quando i partigiani l'avevano abbandonato: lì tanti sfollati dalle città circostanti avevano trovato riparo per sfuggire ai bombardamenti e alle altre azioni di guerra. Sul sagrato della chiesa, dove i bambini fino al giorno prima "avevano giocato a ghinè e gli adulti avevano scambiato chiacchiere e cibo" una grossa mitragliatrice venne piazzata al centro e "quando arrivarono le cartuccere con i proiettili, molti stavano pregando ad alta voce". Furono 560 i civili vittime: donne, anziani e bambini.
Lapo e i suoi familiari si erano inoltrati scalzi su per la boscaglia, non senza notevoli difficoltà sia per i tre piccoli  che per le tre donne, tra cui l'anziana nonna Ida. È proprio lei, la nonna, che ad un certo punto si ricorda di quel che è stato dimenticato nella concitata fuga: aprire la stalla per far uscire Bianchina, la mucca che "se vivi in campagna è un tesoro, anzi è il tesoro". Per questo la comitiva di fuggiaschi decide di provare a far ritorno verso casa, tagliando dritto nel bosco, ma  qualcosa va storto e lungo il loro cammino essi s'imbattono in alcuni soldati tedeschi: per loro la "morte armata" ha un nome e un volto, quello  del soldato  Hans "la cui fede nella vittoria finale promessa da Hitler non lo abbandonava mai". Hans combatte da quando la guerra è iniziata: ha man mano sentito crescere dentro di sé la consapevolezza di "essere debole, di essere un numero insignificante anche per quegli stessi uomini che lo avevano mandato a combattere e ciò aveva accresciuto la rabbia: verso se stesso per essere stato un agnello che si lascia imbonire  per raggiungere il macello, e verso il mondo perché si stava abituando a sparare".

"Carlo, Italia", "Hannah e Jacob, Germania", "Emeline, Francia" e "Dawid, Polonia" sono rispettivamente i titoli dei quattro racconti della raccolta "Le valigie di Auschwitz".
Come narrato dall'autrice nelle prime pagine d'introduzione al testo, presso il Vernichtungslager (campo di sterminio in tedesco) di Auschwitz, oggi luogo della memoria, la stanza numero 4 del blocco 5 è occupata da una grossa teca che separa il visitatore da migliaia di valigie ivi ammassate.  "Su tutte ci sono scritti un nome, un cognome e un indirizzo. Ce ne sono di piccole e di grandi. [...] I soldati nazisti dicevano agli ebrei che sarebbero stati via a lungo, ma che avrebbero fatto ritorno a casa. Per ingannarli facevano preparare loro una borsa per il viaggio, ma se qualcuno chiedeva dove erano diretti i tedeschi non rispondevano. Come fai a preparare una valigia se non sai  dove stai andando?"
La storia di Carlo, quella di Hannah e del fratellino Jacob, affetto da un ritardo mentale, la storia della francesina Emeline e del piccolo polacco Dawid sono solo alcune delle storie contenute in quelle valigie, preparate di fretta tra la paura di un viaggio verso l'ignoto e la speranza di un ritorno verso ciò che si era obbligati a lasciare.
Ai bambini che vissero l'orrore  della persecuzione e/o della deportazione, scrive Bruno Maida ne "La Shoah dei bambini", venne meno, tra le altre cose, una grande e fondamentale fiducia: quella  nei confronti della cosiddetta "onnipotenza genitoriale". Le leggi razziali tolsero ai genitori la possibilità di dare risposte alle domande dei propri figli e, soprattutto, di  garantire loro una speranza di salvezza. 
Al silenzio di chi li ha generati seguono reazioni spesso di rabbia, di ribellione da parte dei piccoli protagonisti dei suddetti racconti che si vedono improvvisamente e irragionevolmente privati di tutto quello che prima era parte della loro quotidianità. Non  resta loro che "scegliere" cosa portare con sé di quel tempo passato: un mazzetto di biglietti del treno, un quaderno su cui annotare il numero delle stelle del cielo, un violino, il ricordo delle persiane blu...

mercoledì 13 luglio 2016

Tutti i bambini sono veri, come veri sono i loro giochi e la loro fantasia

"Kualid è un bambino afghano. Sì, un bambino vero, non solo il personaggio di una storia. Tutti i bambini sono veri, come veri sono i loro giochi e la loro fantasia. Kualid è un po' Ali, Massoud, Fahim... Kualid è i bambini che ho conosciuto in Afghanistan. La paura, lo stupore, il dolore ma anche l'allegria del suo sguardo sono gli stessi che ho trovato negli occhi di tanti bambini. Forse anche di voi che leggerete questo libro, che però avete la grandissima fortuna di non aver mai visto il mostro che è la guerra".
Sono le parole con le quali l'autore della storia "Kualid che non riusciva a sognare" ne presenta ai suoi lettori il protagonista: lui, l'autore, è Vauro Senesi, pistoiese d'origine, giornalista e vignettista satirico.
In una cornice temporale essenziale, che non indugia su alcuna data, la voce narrante guida il lettore lungo le strade di Kabul, quelle che percorre Kualid nella quotidianità entro la quale si svolge la sua vita di bambino. Poche, essenziali figure oltre alla sua popolano le pagine di questa storia, neppure tutte dall'inizio alla fine. Il nonno e la madre di Kualid, della quale il bambino fa fatica a rintracciare il sorriso sul volto se non è velato dal burqa, da quando il papà non c'è più. Said, il cugino di Kualid che prima lo chiamava il "Sorcio", prima che i talebani lo portassero a vivere nella madrasa  per farne uno di loro.
Babrak, il calligrafo che gli trasmette la sua arte  e il suo segreto.
Il vecchio Kharachi, che deambula con il busto appoggiato su un carretto da quando ha perso, per via di un razzo, entrambe le gambe. 
E poi una stuoia, un tendone e una teiera, il cui becco ricurvo riflesso sulla parete diventa "Asmar, il serpente delle notti di luna"; un pennello e delle lattine di colore che serviranno a colorare  i disegni sulle pareti dell'ospedale del medico italiano a Kabul, gli unici permessi dai talebani per i quali le "figure sono un'offesa a Dio" e i primi che Kualid abbia mai visto da quando è nato.
La guerra in Afghanistan che fa da sfondo alla vicenda è quella degli inizi del 2001 e ancora in corso. È la guerra nella quale alcuni Kualid sono nati e cresciuti, molti altri, invece, sono caduti assai spesso per colpa di quei "pappagalli verdi" che hanno tentato di far volare e che, invece, li hanno fatti saltare in aria, uccidendoli o mutilandoli.   Altri Kualid  hanno tentato o stanno ancora tentando di scampare alla guerra; sono profughi, migranti, ma soprattutto bambini: siriani, afghani, palestinesi, ma soprattutto bambini, ai quali chissà se sarà mai data la possibilità di chiudere gli occhi e sognare, come starà  facendo adesso Celeste, la mia bimba, nella beatitudine del sonno in cui di fianco a me giace e sorride... 



giovedì 23 giugno 2016

"Mio fratello rincorre i dinosauri" di Giacomo Mazzariol


"Illustra la guerra, voto: dieci" [...] Poi girai il foglio: "Giovanni Mazzariol, Ragazza seduta su panchina che mangia un gelato, 210x297 mm, pastelli su foglio sicuramente rubato a un amico, conservato alla scuola media Giorgione, temporaneamente concesso alla fondazione casa Mazzariol."
Lo studiai senza capire: gli era stato chiesto di fare un disegno sulla guerra e lui aveva scarabocchiato  una ragazza con un gelato in mano. Sul momento non commentai, ma dopo che Gio fu  uscito dalla stanza dissi a mamma:- Be' certo che glieli regalano proprio i voti [...]
La cosa non finì lì [...] Mi domandai di nuovo come fosse possibile che avesse preso dieci per quel disegno stilizzato e fuori tema. Provai ad analizzarlo in base ai colori e alle forme, ma nulla. Sentivo che c'era altro, qualcosa che non riuscivo a comprendere. [...] Sarebbe stato facile archiviare la cosa come una delle sue stramberie . Sarebbe stato facile, sì. Ma mi ricordai che aveva la mia stessa vecchia professoressa. Lei scriveva sempre giudizi descrittivi sul quaderno di ogni alunno, disegno per disegno. Scesi a prendere la cartella di Gio e trovai il quaderno di Arte. Ultima pagina. Eccolo, il giudizio. Lessi:
"Alla richiesta di illustrare la guerra, tutti gli studenti della classe hanno illustrato fucili, cannoni, bombe, morti. Tutti tranne uno. Mazzariol ha scelto di rappresentare la guerra a modo suo: la ragazza è la fidanzata di un soldato che è partito per la guerra. Ora deve andare a prendere il gelato, che per Mazzariol è la cosa più bella al mondo,  da sola.
La guerra è anche questo: andare a prendere il gelato da soli.
(La spiegazione mi è stata fornita da lui stesso e l'abbiamo ricostruita insieme).
Complimenti Mazzariol."

Il brano  è tratto dal romanzo "Mio fratello rincorre i dinosauri" di Giacomo Mazzariol, pubblicato dalla casa editrice Einaudi nel 2016. È una storia vera:  "storia mia e di Giovanni che ha un cromosoma in più" recita  il  sottotitolo. Giacomo Mazzariol, autore e voce narrante, ha diciannove anni e questo è il suo romanzo d'esordio. Giovanni, detto "Gio",  è suo fratello: è nato con un cromosoma in più, affetto cioè dalla sindrome di Down.
La  famiglia di Giacomo e Giovanni Mazzariol è una famiglia normale, ma ad un tempo straordinaria: il papà è segretario in un asilo; poi ci sono mamma e le sorelline Alice e Chiara. Giacomo accompagna il lettore attraverso le vicende quotidiane dei Mazzariol, a partire dal momento in cui  bambino e poi adolescente si ritrova lui insieme ai suoi familiari  a fare i conti con le "stramberie" di quel fratellino prima tanto atteso e un volta arrivato generatore di pensieri, domande, paure che crescono insieme ai protagonisti e che non sempre, soprattutto per Giacomo, sono facili da condividere.
È una storia che fa bene, "una storia che stupisce, commuove, diverte e fa riflettere",  specie per le volte in cui aiuta il lettore a non vergognarsi di ciò che talora la diversità genera in chi deve imparare a conviverci, ma può imparare a volerle bene a modo proprio.
La narrazione scorre lungo dieci capitoli corrispondenti ad altrettante microstorie che offrono al lettore la possibilità di conoscere i personaggi protagonisti lungo un arco temporale che va dall'"Annunciazione" (cap. 1) all'arrivo del piccolo Gio ("Centottanta pupazzi", cap. 2); all'infanzia di Giacomo e alla prima infanzia di Gio, cinque anni più piccolo ("Tutti i supereroi fanno le capriole", cap. 3) ; al primo periodo adolescenziale di Giacomo, corrispondente agli anni delle medie, densi di episodi lungo i quali emerge il crescente  disagio di Giacomo nella percezione del rapporto tra Gio e il mondo, per tutto ciò che suo fratello è, e soprattutto, per ciò che non è e non sarà mai in grado di essere (da"La morte di Marat", cap.3 a "Little John " cap. 6).  Ma ad un certo punto è lo stesso Gio ad irrompere con spontaneità nel mondo dal quale Giacomo aveva tentato di tenerlo lontano, il suo, senza bisogno che a lui, da fratello maggiore, spetti il compito di fargli strada verso quanti di  quel mondo fanno già parte: gli amici, Arianna, di cui Giacomo è innamorato. Lì Giacomo torna a rivedere suo fratello come quel supereroe di cui aveva tanto atteso l'arrivo da piccolo e vi riesce anche grazie a persone, come la sua ex professoressa d'Arte, la quale nel giudicare il disegno di Gio si è lasciata guidare da quest'ultimo nel suo mondo, dove la guerra è "andare a prendere il gelato da soli".

"L'oro della montagna": la Grande Guerra attraverso gli occhi di un adolescente

"L'oro della montagna" è un romanzo storico per ragazzi di Paolo Colombo & Anna Simioni.
I due autori, legati prima da una lunga amicizia e poi diventati marito e moglie,  condividono  una grande passione: quella per la scrittura di storie che narrano la Storia.
"L'oro della montagna" appartiene al genere  diaristico: l'adolescente Piero, voce narrante, racconta le vicende della sua famiglia dall'ottobre del 1918 al dicembre del 1921.
Piero ha circa dieci anni all'inizio della storia; ha un fratello di nome Carlo che appartiene alla generazione del '99 (1899) chiamata a servire nell'esercito nel corso del 1917, dopo la decimazione subita a Caporetto dal Regio Esercito.
Carlo è un convinto sostenitore della guerra e da reduce disilluso dalla "vittoria mutilata" risponde all'appello di D'Annunzio ad occupare Fiume; al rientro dalla fallimentare impresa, Carlo si presenta in famiglia con indosso una camicia nera. A causa delle sue idee interventiste tra Carlo e il padre è sempre stato scontro: ecco perché per il giovane Piero la guerra è anche quella che si combatte  in casa tutte le volte in  cui padre e fratello intraprendono accese discussioni da "fronti" opposti. E poi c'è Alfio, il cugino di Piero, che un bel giorno, poco dopo la fine della guerra, si presenta in città vestito come un damerino, lui che è sempre stato povero. Alfio ha sette anni più di Piero e ha sempre voluto un gran bene al suo cuginetto; gli racconta di essere da poco rimasto orfano e pertanto da solo al mondo e poi confida a Piero il suo segreto: gli rivela, infatti,  di aver trovato la "pietra filosofale" su tra le montagne, salutandolo poco dopo e correndo via di gran carriera. Il nuovo tenore di vita di Alfio e, soprattutto, la sua rivelazione mettono in moto la fantasia di Piero e l'irrefrenabile curiosità di scoprire come abbia fatto il povero Alfio a diventare improvvisamente così ricco.
Il romanzo ha il pregio di affrontare  attraverso le vicende familiari di Piero i vari aspetti connessi a ciò che avvenne negli anni tra il '14 e il '18 e in quelli immediatamente successivi: la dimensione "mondiale" del primo conflitto e le conseguenze che ne derivarono non solo in termini di vite umane, ma anche sul piano degli inevitabili cambiamenti socioeconomici che ne seguirono. A tal proposito si rivela interessante come successiva lettura da proporre agli allievi  l'Introduzione al romanzo, scritta da Paolo Colombo sul significato rivoluzionario della Prima Guerra mondiale, sul perché ancora oggi si studia (una riflessione sul "commemorare" inteso come "portare insieme memoria"), sul contributo che a suo modo la guerra diede al "fare gli italiani".
Altrettanto utili sul piano didattico si rivelano sia la Nota storica in appendice, a cura di Luciano Tas, che le pagine del "Dopo i titoli di coda ovvero: che fine hanno fatto?" : la prima ripercorre le fasi storiche della Grande Guerra per blocchi tematici ("Perché la guerra dal '14 al '18 si è  chiamata mondiale? Perché è scoppiata? ecc...); il "Dopo i titoli di coda" fornisce informazioni post trama sulle vite dei personaggi.
L'apparato di note a margine che accompagna  la narrazione è un prezioso mezzo di approfondimento, recante notizie e curiosità sul periodo. Ciascuna nota è contrassegnata, peraltro, da un'icona che permette al giovane lettore  di identificare la tipologia di contenuto nella quale leggendola s'imbatterà: esercito e vita militare; cultura e idee; personaggi ed eventi storici; luoghi e battaglie; politica e società.
Qualche esempio a riguardo: le due parole "Firmato Diaz" in calce al testo del Bollettino della Vittoria emanato da Armando Diaz il 4 novembre del 1918, generano un buffo equivoco che porta i meno acculturati a scambiare le parole rispettivamente per nome e cognome del comandante e sull'onda dell'entusiasmo a battezzare con il nome di "Firmato" molti bambini. Altre note spiegano rispettivamente  l'analogia tra l'espressione "vittoria mutilata" a chiusura del testo de La preghiera di Sernaglia del Vate e la Nike di Samotracia;  l'origine e la diffusione dell'espressione "me ne frego"; a quanto corrispondeva la paga giornaliera di un fante italiano nella Prima Guerra mondiale; la nascita del  termine "broccolino" per definire la lingua degli italo-americani, che così storpiano il nome Brooklyn, il distretto newyorkese che ospitò molti nostri compatrioti partiti alla ricerca di fortuna.

giovedì 16 giugno 2016

Esercizi online prove invalsi

Cliccando sul seguente link giungerete sul sito proveinvalsi.net, il più completo archivio di prove invalsi (Ita e Mate) divise per ordine, grado di scuola e classi. Può essere un utile esercizio per chi volesse ogni tanto cimentarsi nella prova. Ecco il link invalsiprove

lunedì 13 giugno 2016

Storia classe terza (III C): questionari- guida delle unità 8-19 (volume due)

Approfittando dell'estate ho pensato di elaborare i questionari- guida delle unità 8-19 del nostro libro di testo che riguardano gli argomenti di Storia dei quali ci si occuperà nella primissima parte dell'anno scolastico 2016-2017.
Ci siamo lasciati chiacchierando di due grandi rivoluzioni  (unità 6 e 7): quella Illuminista-rivoluzione delle idee o socioculturale- e quella industriale, la prima rivoluzione industriale- rivoluzione socioeconomica.
L'arco temporale che è raccontato nelle unità da 8 a 19 del vostro libro di testo si estende lungo tutto il XVIII e il XIX secolo ('700 e '800), secoli nei quali gli eventi più importanti furono i seguenti:
-La rivoluzione americana: nascita degli Stati Uniti d'America  (1775-1783) unità 8;
- La rivoluzione francese: fine del cosiddetto ancient regime ovvero dell'assolutismo  monarchico (1789-1795) unità 9;
- L'ascesa di Napoleone Bonaparte in Francia e in Europa, che tenta di creare un vasto Impero europeo unità 10;
- il Congresso di Vienna in Europa (settembre 1814-9 giugno 1815): inizia la cosiddetta Restaurazione, cioè si ridisegnano i confini degli Stati d'Europa com'erano prima che Napoleone li cambiasse unità 11;
- i moti rivoluzionari (1820-1821; 1830-1831; l'anno 1848 in Europa:l'anno delle rivoluzioni in Europa e  della prima guerra d'indipendenza nella nostra penisola 23 marzo 1848-23 marzo 1849 ): in molti stati d'Europa ci si ribella al clima creato dalla cosiddetta Restaurazione del Congresso di Vienna unità 12;
- gli effetti della prima rivoluzione industriale in Europa nella prima metà dell'800 (com'è la vita socioeconomica culturale dell'Europa in questo periodo) unità 13;
- l'800 fuori dall'Europa: in America meridionale, negli Stati Uniti d'America, in Asia, Africa e continente australe (Australia e Nuova Zelanda) unità 14;
- l'Europa dopo il 1848 (la seconda guerra d'indipendenza nella nostra penisola 1859; l'unità d'Italia nel 1861; terza guerra d'indipendenza nella nostra penisola 1866)  unità 15 ;
- il secondo Reich: la nascita della Germania (Impero germanico 1871) e le altre potenze europee tra 1860 e 1880 (Francia, Impero russo e Impero austro-ungarico) unità 16;
-L'imperialismo degli Stati europei (Francia e Gran Bretagna, soprattutto, ma anche Germania, Portogallo, Spagna, Belgio, Paesi Bassi, Italia, Danimarca, Russia) e di altri due paesi (Usa e Giappone) che si espandono oltre oceano a voler creare dei veri e propri imperi coloniali tra la seconda metà dell'800 e il primo decennio del "900 unità 17;
- L'Italia unita e i suoi problemi interni: i governi della Destra e della Sinistra storica nella seconda metà dell'800 unità 18;
- La seconda rivoluzione industriale   nella seconda metà dell'800 e la cosiddetta Belle epoque (1890-1914), circa venti anni di spensieratezza e ottimismo che accompagnano la fine dell'800 e l'inizio del '900 in cui la media e alta borghesia europea è la protagonista della scena economica unità 19.
Già mettendo insieme questi argomenti a mo' di raccontino riuscirai ad avere una panoramica generale di quanto accade nell'Europa e nel mondo fuori dall'Europa nel XIX secolo, in particolare, e nel primo decennio del XX, quei dieci/quattordici anni che preparano allo scoppio della cosiddetta Grande guerra o prima guerra mondiale 1914-1918.
A seguire inserirò man mano i vari questionari-guida, uno per ogni unità. Cliccando sul nome dell'unità troverai il questionario cui potrai rispondere leggendo l'unità corrispondente e via via, attraverso esso, studiandola.



mercoledì 8 giugno 2016

Per chi suona la campanella

Il caffè sorseggiato alle prime luci dell'alba stamane ha tutto un altro sapore.  Sa già di vacanza e di tutto ciò che ad essa si accompagnerà.  La trepidante attesa delle vacanze è quanto più accomuna  alunni e prof: entrambi aspettano che la campanella dell'ultima ora segni l'inizio di un tempo "vuoto" e come tale da riempire a proprio piacimento! Potremmo chiamarlo "amor vacui" quello che si prova, quando, già all'indomani dell'ultimo giorno, ci si avvicina al calendario solo per scorrere l'indice lungo le almeno undici settimane vacanti di impegni. Loro, gli alunni,  svuotano gli zaini dagli ultimi libri; noi, i prof, svuotiamo le nostre cartelle ricolme di carte e appunti personali che ci riproponiamo prima o poi di archiviare. E non avere alcuna tabella oraria a scandire il tempo dei nostri incontri mattutini? Poter parcheggiare il diario consumato e giunto alla fine là dove nessuno giornalmente  chiederà di firmarlo o se lo si è fatto firmare? È come per noi prof, collezionisti di agende scolastiche, deporre quella usata quest'anno a fianco delle altre. Il diario per i nostri alunni, come l'agenda per noi prof, ha scandito la quotidianità di un intero anno scolastico, riempendosi giorno dopo giorno di esortazioni sia da una parte ("studia", "ripassa", "svolgi" ecc...) che dall'altra ("spiega...", "interroga...", "verifica...").
Da oggi per domani e per i giorni a venire potremo noi e loro riappropriarci del nostro tempo, senza alcuna esortazione all'uso, senza che il suono di alcuna campanella ad ogni ora ce ne rammenti lo scorrere, se non quella di oggi: quella sì che suonerà solo "per noi"!

Compiti per le vacanze-estate 2016 (classi I C e II C)

Ecco i compiti per le vacanze assegnati alla classe I C (a.s. 2015-2016)
Compiti e l'elenco dei testi di lettura consigliati alla classe



Qui vi sono, invece, i compiti assegnati alla classe II C (2015-2016)
Compiti e l'elenco dei testi di lettura consigliati
Si ricorda che il libro La linea del traguardo di Paola Zannover è lettura comune a tutte le classi seconde;
 qui di seguito vi rimetto l'avviso che è stato fornito in fotocopia a ciascun allievo per il reperimento del testo:


Paola Zannover, La linea del traguardo, Oscar Mondadori (2009), costo 10 €
È possibile acquistarlo in tutte le librerie.
Per chi volesse acquistare l’ebook (la versione online del testo), esso è disponibile su Amazon Kindle (una sorta di libreria virtuale) al costo di 6,99€: occorre disporre del dispositivo adeguato per leggerlo (tablet, smartphone, pc ecc…) e della suddetta applicazione. 
C’è, inoltre, la possibilità di chiederlo in prestito in biblioteca, ove, però, si dispone di poche copie. Tra le biblioteche che dispongono del testo vi sono quella di Lanzo, quella di Ciriè e quella di Mathi e/o altre biblioteche della provincia, al cui catalogo potete accedere attraverso questo sito
(è il catalogo delle biblioteche piemontesi online)
Di seguito, infine, il questionario di Storia sulle unità 6 e 7 del libro relative rispettivamente alla Rivoluzione illuminista e a quella industriale: questionario Storia 
Ad alcuni allievi della classe è stato fornito in fotocopia un questionario elaborato su due testi semplificati relativamente agli argomenti di cui sopra.

Buone vacanze a tutti e arrivederci al prossimo anno scolatico

giovedì 26 maggio 2016

Letture consigliate per il passaggio dalla prima alla seconda

Ecco l'esito del test "Che tipo di lettore/lettrice sono" e, a seguire, alcuni suggerimenti di letture per l'estate. Seguite il link Letture dalla prima alla seconda

sabato 21 maggio 2016

sabato 14 maggio 2016

Per questo ai ragazzi piace leggere le storie di Garlando

I libri di Luigi Garlando hanno a mio parere un grande pregio: quello di saper  accompagnare i giovani lettori lungo il racconto di fatti, la riflessione su temi e la conoscenza di personaggi della contemporaneità, attraverso il dialogo generazionale. Senza che i ragazzi corrano il rischio di annoiarsi: parola dei miei tanti e diversi allievi lettori cui ho suggerito la lettura dei testi di Garlando! 
La voce narrante delle storie narrate dall'autore, a partire da quella più nota, "Per questo mi chiamo Giovanni", è sempre la voce di un adolescente che dialoga, anche in maniera ideale, con figure maestre della propria vita: il padre, il nonno, un senzatetto, il maestro di judo, la maestra di classe, l'idolo della propria squadra di calcio. Attraverso un linguaggio immaginifico, ad un tempo ricco e semplice, Garlando tocca temi importanti, avvicinando i ragazzi ad essi.
In "Per questo mi chiamo Giovanni" e in " 'O maè. Storia di judo e di camorra", Giovanni e Filippo, rispettivamente voci narranti e protagonisti, guidano i lettori attraverso storie generate dalla non legge della forza e della violenza, la quale  accomuna il fenomeno del bullismo tra i giovani ai metodi usati dalla criminalità organizzata sulla società. Le città in cui le due storie sono ambientate sono Palermo e Napoli, un quartiere di quest'ultima, in particolare, Scampia. A Palermo e a Scampia appartengono il giudice Giovanni Falcone e il maestro di judo Guido Maddaloni, figure reali di legalità e giustizia.
E reale è la figura di un altro combattente della cui vita e dei cui insegnamenti Garlando ha voluto affidare ad un giovane il racconto: ne "L'estate che conobbi il Che", ambientanto nel 2014, durante gli ultimi mondiali di calcio, Cesare, dodicenne e suo nonno, che ha il tatuaggio di un uomo barbuto sulla spalla, guidano i giovani lettori a conoscere la leggendaria figura di Ernesto Che Guevara. Cesare conosce pian piano la parabola del Che, che lui stesso scambia all'inizio per Gesù,  mentre il nonno è in ospedale.Lì l'infermiera, suor Peppa, spesso presente alle visite del giovane nipote al nonno,  si oppone con la sua intransigente morale cattolica agli insegnamenti che il vecchio trasmette al giovane, inorridendo nel giorno in cui il primo fa addirittura un parallelo tra Gesù e il Che:" Sì assomigliano più di quanto lei pensi!" e suor Peppa "Ah sì? Il suo amico ha mai parlato di guance? Ha mai insegnato a porgere l'altra guancia invece di sparare?" e il nonno:" Certo che ha parlato di guance. 《Un vero uomo deve sentire sulla propria guancia lo schiaffo dato a qualunque altro uomo. Che ne dice suor Peppa? Questa è carità, è Vangelo". E Cesare ascolta divertito, affascinato, sempre più coinvolto. E sullo sfondo di una società in piena recessione economica, la nostra, la quale ha colpito anche la famiglia di Cesare, egli comincia a chiedersi quanto del messaggio del Che possa essere ancora attuale.
E poi ci sono "Camilla che odiava la politica", "Mio papà scrive la guerra" , "La vita è una bomba", "Da grande farò il calciatore". Camilla, Tommi, Milan e Pietro sono i protagonisti rispettivamente delle quattro storie elencate, alle prese con un mondo, quello degli adulti, che fanno fatica a comprendere perché ne hanno fatto loro stessi le spese. Camilla per colpa della "politica cattiva" ha perso il suo papà, ma qualcuno le insegnerà che esiste anche una politica buona, le insegnerà cos'è e di cosa si deve nutrire perché cresca sana e robusta. 
Tommi, invece,   per colpa della guerra che "il suo papà scrive" poiché inviato di guerra per un giornale, vive il dramma del suo rapimento, cercando chiavi di lettura del ruolo che l'inviato di guerra ha nel mondo dell'informazione.
Il calcio, infine, "la cosa più bella e meno importante di questo mondo" è la cornice entro la quale si snoda la storia di Pietro, protagonista del romanzo "Da grande farò il calciatore" e del piccolo Milan protagonista e narratore de "La vita è una bomba". Per il primo diventare un calciatore è un sogno al termine di una strada che Pietro non immagina neanche quanto lunga possa essere e, soprattutto, se realmente percorribile. Per Milan, invece, il calcio diventa la metafora per raccontare di sé, del luogo da cui proviene, la Bosnia,  degli eventi della guerra serbo-bosniaco-croata che lui narra attraverso i suoi ricordi da bambino, lungo le pagine del suo primo tema in lingua italiana, assegnato dalla maestra in classe. La maestra aveva scritto alla lavagna la traccia "Se io fossi uno spaventapasseri" quel giorno, ma Milan non vede l'ultima parola, crede che il titolo si fermi ad "uno" e da lì inizia il suo racconto:" Se fossi 1 sarei il più bravo portiere del mondo, avrei mani grandi e sicurezza come quelle del mio papà vecchio, quando giocavamo al rinvio e io ero il pallone..." Il papà "vecchio" era il vero papà di Milan, scomparso durante la guerra, insieme al resto della sua famiglia originaria. Una storia, quella di Milan, che Garlando regala a Zvorin Boban e al suo compagno di squadra, montenegrino, Dejan Savicevic, con i quali si ferma a parlare della guerra che imperversa nella loro terra, quando lo scrittore  andava a Milanello a fare il suo lavoro di cronista sportiva e gli altri due erano lì a fare il loro lavoro di calciatori:" Magari mi faceva domande sulla partita della domenica, io rispondevo, poi chiudeva il taccuino e si parlava d'altro. Anche della guerra. È come se tutti e due, in qualche modo, fossimo al fianco del piccolo Milan, fin dal primo giorno" (Zvonimir Boban). Per questo ai giovani lettori piace leggere le storie di Garlando, per questo e  per molto altro ancora che loro stessi vi sapranno spiegare quando avranno terminato di leggerle!