domenica 20 dicembre 2020

"Anche per giocare servono le regole" di Gherardo Colombo (diario di bordo parte prima)

La voce del verbo "giocare"  appartiene  più al mondo dei piccoli che a quello dei grandi. E quando un grande- e Colombo lo è- la usa per intitolare un suo libro è per rendere più immediato al pubblico dei giovani lettori che a loro questo libro è soprattutto destinato.
Avevo letto  "Anche per giocare servono le regole" di Gherardo Colombo poco prima che se ne scegliesse l'adozione per le classi prime della scuola in cui insegno, all'interno della programmazione di educazione civica. Ed è grazie a questa prima lettura che ho  poi ideato una serie di attività le quali accompagnassero me e i ragazzi lungo il lavoro sul testo di Colombo. Ciò su cui, però, non mi ero ancora fermata abbastanza è quanto proprio lavorare con i ragazzi su questo libro mi ha svelato: Colombo ha scritto un libro-gioco sulle regole, un libro con il quale si può anche giocare imparando. "Anche per giocare servono le regole" non è un libro semplice, anzi la sua lettura va accompagnata, mediata dall'insegnante ma si presta e non poco all'animazione.
"Colombo è proprio simpatico, prof!" ha esclamato uno dei miei allievi dopo aver "conosciuto" l'ex magistrato.
"È tosto!" ha aggiunto un altro.
"È anche spettinato!" ha fatto notare una fanciulla. Abbiamo, infatti, iniziato a fare conoscenza dell'autore prima del suo libro. Sul sito www.ricreazioni.eu è possibile vedere un brevissimo video con cui Colombo presenta ai suoi lettori in pochi minuti-meno di 5!- senza troppi giri di parole sebbene ne usi comunque tante, la spinta motivazionale a scrivere questo libro. Il quale, peraltro, non è il suo primo libro su questo tema: "Sulle regole" dello stesso autore è un saggio del 2008, infatti, dal quale ai giovani lettori si può, ad esempio, far leggere il brano "Un paese immaginario" (Valeria, mia tutor reale e ideale, docet😍). Anzi "facciamo che" dovremmo leggerlo tutti questo brano non solo i più giovani: perché tutti  siamo dentro quel paese immaginario di cui Colombo parla!
Quando Colombo grazie al suo video  ha raccontato alla mia classe cosa l'ha spinto a tornare su un tema a lui caro rivolgendosi questa volta ai più giovani, con i ragazzi della prima E abbiamo deciso di fare una bella raccolta sia delle tante parole che Colombo usa che di quante  ce ne ha fatte venire in mente mentre parlava. Le abbiamo raccolte ma divise in tre categorie grammaticali-chiave (verbi, aggettivi, nomi) e poi trasferite su una comune parete padlet  ognuno in un proprio spazio-post.
 La regola per scrivere le parole raccolte è stata quella di osservare quanto scritto dagli altri per evitare di ripetersi. Il tutto  contemporaneamente peraltro come a scuola fossimo stati in presenza non avremmo potuto fare su un unico spazio comune. Assembrarsi alla parete di un'aula per scrivervi su parole a tema regole ce ne avrebbe fatta trasgredire intanto una e assai importante di questi tempi: mantenere il distanziamento! Per non parlare del fatto che scrivere sulla parete vera di un'aula non è contemplato dal regolamento scolastico, il che secondo me è un vero peccato! Sogno una scuola dove ogni anno si possa dare in mano ai "writers" d'istituto (secondo me ce ne sono sempre!) la possibilità di creare aule a tema: sarebbe bellissimo! 
Pertanto padlet, la nostra parete virtuale, su cui ognuno insieme ad altri può accedere da casa propria e scrivere la propria parte, si è rivelato uno strumento  utile al nostro lavoro. Queste parole sono diventate, successivamente, frasi che ciascuno sempre dentro al proprio spazio, e sempre contemporaneamente agli altri, ha scritto sotto la supervisione in tempo reale della docente. Il link a questi lavori non fa parte di questo post per ragioni di privacy: i ragazzi usano il loro cognome sulla parete e condividere il lavoro non mi è possibile. Peraltro la parete subirà un ampliamento al termine della nostra attività sul libro: per ora serve a segnare l'inizio di questo percorso ancora in fieri. 
Quando siamo poi entrati nel vivo del libro abbiamo cercato di conoscere un po' meglio Colombo, il suo passato,  proprio grazie a ciò che lui ci racconta di sé alle pagine 3-8 del suo libro: "Facciamo conoscenza". Leggerle e basta sarebbe stato un peccato perciò abbiamo deciso di dividere la classe in due squadre: la squadra delle Domande ha lavorato per prima, interrogando il testo e formulando pertanto dallo stesso 11 domande tante quante erano i componenti della squadra. Alle domande formulate in un unico foglio di lavoro condiviso, avrebbero poi risposto gli 11 membri della squadra delle Risposte. Non essendo riusciti a svolgere in un'unica ora quest'attività-ora che nella nostra scuola in ddi prevede peraltro una durata dj 45 minuti di attività sincrona- si è lasciato che la squadra delle Domande lavorasse in pace per i 45 minuti previsti e, su permesso della docente, la squadra delle Risposte si riposasse per essere poi riconvocata l'indomani in orario pomeridiano a tutti i componenti congeniale e insieme alla docente. Devo dire che lo spirito di dialogo e collaborazione tra questi ragazzi è stato lodevole nonostante siamo in tempi di ddi e questa sia una classe neonata. Le due squadre hanno lavorato in momenti diversi e sotto la mia silenziosa sorveglianza con una serietà che da una prima per di più a distanza non mi sarei mai aspettata: la domanda più bella che più volte è stata formulata? "Cosa ne pensate?". Il confronto è un esercizio cui si dovrebbe dedicare più attenzione a scuola: stimolare riflessioni comuni mettendo in pratica le buone regole del confronto dialogico è una palestra  importantissima per loro, per l'esercizio del loro pensiero. E il libro di Colombo si presta eccome a quest'esercizio.
 Il lavoro di domande e risposte è stato svolto su un foglio unico di lavoro condiviso che, dopo la revisione della docente, è stato la volta successiva-questo venerdì- portato in classe, convidiso, e letto a voci alterne: tutti e 22 hanno alternativamente dato voce al proprio contributo. Già perché ogni domanda aveva accanto a sé il nome di chi l'aveva formulata (questa la regola per la formulazione) e così di seguito la rispettiva risposta. Pertanto le coppie formatesi casualmente nel lavoro di domande e risposte sono poi diventate le nuove squadre, 11 squadre da due e non più 2 squadre da undici, che si cimenteranno nella terza attività sulle pp.9-18 del libro di Colombo. Argomento: "La regola non è la sanzione". È il compito di educazione civica che ho messo sotto il nostro albero virtuale della nostra aula virtuale: cosa saranno capaci di regalarmi i 22 primini lo scoprirò l'8 gennaio, che secondo il nostro orario attuale è il giorno in cui io e loro ci rivedremo. Né io né loro, però, sappiamo ancora dove se tra le pareti di un'aula reale o di nuovo tra quelle virtuali. Occorre attendere nuove regole, necessarie per andare avanti.
Al momento non resta che augurare buone e "regolate vacanze a tutti😊😊😊

domenica 3 maggio 2020

Lettera alla mia Ministra

Cara Ministra
Ti scrivo. E per quanto il tuo ruolo mi imporrebbe di farlo usando il "Lei", voglio farlo dandoti del tu. E non per mancanza di rispetto, bensì per l'affetto che ho imparato a nutrire nei tuoi confronti in queste settimane, quelle nelle quali il tuo ruolo, già di per sé non facile, è diventato estremamente difficile. 
Il mio darti del tu, pertanto non è irriverenza, ma vicinanza. 
La mia è una lettera  scritta metà e metà o ad intervalli: scegli tu, dopo averla letta, a quale modalità essa appartiene. E ciò perché linguisticamente dall'italiano passerò ogni tanto al nostro siciliano; come anche perché parlerò ora da insegnante ora da genitore e tenterò di trasmetterti a distanza le preoccupazioni che a noi, docenti e famiglie, sono  in questo momento assai vicine. 
Parto col dirti che da quando ti ho vista per la prima volta, ho notato una forte somiglianza con un personaggio femminile interpretato tanti anni or sono ormai da Corrado Guzzanti: Vulviola, di Rieducational Channel. Così, non per mancarti di rispetto, ma perché a me piace scherzare, quando parlo di te con i miei colleghi, amici e congiunti, ti chiamo "Vulviolina". Ci tenevo a dirtelo io e a spiegarti che lo faccio solo per gioco: non sia mai che qualcheduno pensi io ti schernisca e mi denunci! Sai com'è: corrono tempi duri! E di sicofanti in giro ce ne sono tanti!! Ahinoi! 
Io appartengo a quella categoria di persone che prova a calarsi nei panni degli altri prima di criticare, credimi: non vorrei rivestire i tuoi, ad esempio, in questo momento meno che mai! Ammetto i miei limiti: io non ne sarei capace. Perciò ciò che ti sto scrivendo più che una critica al tuo operato è un tentativo di suggerirti se non soluzioni che io non ho, almeno qualche strategia di comunicazione a te per noi, docenti e famiglie, che mai come adesso pendiamo letteralmente dalle tue labbra💋🤭
Tu, cara Lucia "nimica di ciascun crudele", fosti sfortunata ad essere chiamata a ricoprire un incarico così importante in un momento così di 'mmerda, come direbbe lo zio del topo Sebastiano! E chissà quante volte ti ripeti "cu mi ci purtava?". E come darti torto? Comunque ora sei lì e devi andare avanti e noi con te.
Perciò io ti ho scritto, anche per dirti ciò che talora provo, da insegnante e da madre, quando mi appari seduta a distanza di sicurezza da Conte in conferenza stampa oppure quando apro gli articoli di Orizzonte scuola con le tue fotografie. 
Prima m'acchiappa la trepidazione di sentire o leggere quello che tu hai da dirci; poi, però, mi viene l'ansia e parte l'unico cinema che in questo momento posso frequentare: quello che proietta i miei film mentali!
Quando annunciasti, per esempio,  già settimane or sono, che sarebbero stati tutti promossi sai cos'hai provocato in noi docenti? Un'ondata di panico! Tutti noi insegnanti ("in remoto" ormai) abbiamo anche solo per un attimo pensato:"cu cchu mi collegu dumani ammatina?". Ognuno nella propria lingua, s'intende🤣Perché se è vero che la scuola è formazione e tante altre belle cose, che i tanti docenti motivati ci diciamo, ci scriviamo e in cui crediamo  da sempre e soprattutto ora, caliamoci per un attimo nei panni degli adolescenti-sempre per il giochetto di cui sopra- e proviamo a pensarli in questo momento. I ragazzi sono chiusi in casa da due mesi, senza prospettive di chissà quali libertà, vengono a sapere che almeno non dovranno faticare per guadagnarsi la promozione, vuoi che si mettano lì a lavorare come noi vorremmo? Ma certo che no, se non in rarissimi casi che, alle medie per esempio, dove io lavoro, diventano casi"ultrarari" come certe modelli delle Lol che piacciono tanto a mia figlia! Ma questo ormai è un capitolo chiuso: ora c'è la maturità su cui ancora si discute e su cui Venditti starà  scrivendo un nuovo testo che preveda nella notte prima degli esami anche l'ansia da prestazione con mascherina! L'esame di terza media oramai fu "elaborato a com'è ghiè": va bene non fare scritti non essendovi rientro, ma un tintu orali pure per noi non era fattibile?  Chiedo per docenti amici, che ancora ci tengono!  Io i rischi non li conosco e posso solo farmi domande per ora, tutto qui. 
Ora, però, visto che hai il concorso di cui occuparti e l'anno scolastico nuovo da scrivere, fa' una cosa: non ci dire più niente almeno fino a fine agosto, te ne prego. Noi  intanto saremo presi e distratti dal capire se possiamo andare in spiaggia dentro box di plexiglass o con il kit di nastri e picchetti ideato da un ingegnere sardo. L'ha chiamato "Safe beach space" ed io mi chiedo perché, visto che lui è sardo e gli inglesi quest'anno non verranno a farsi il bagno da noi! Ormai è moda battezzare in inglese le nuove invenzioni anche se sono nostrane! Io quando ho letto di questa trovata ho pensato a Didone, esule da Tiro, che giunta in Africa si trovò a fare i conti con quel perfido del re Iarba che le concesse di occupare tanta terra quanto ne potesse occupare una pelle di bue: e sappiamo Didone cosa fece di quella pelle visto che ci fondò Cartagine! Pensa a cosa potrebbero diventare le nostre spiagge siciliane quando arriverà  un'intera famiglia armata di nastri,  picchetti e teglie di pasta al forno più angurie, a colonizzare la sabbia che gli spetta! 
Ma torniamo a noi e a ciò che tu nel tuo ruolo sei spesso chiamata a fare: dare conto di come procedono i lavori lì al MIUR. In siciliano che è la nostra seconda lingua, mia e tua, ci sono tanti detti che ti potrebbero  venire in aiuto quando le domande dei giornalisti ti incalzano. Uno per esempio è "certi voti la megghiu parola è chidda ca un si dici", che è da sempre il motto di mio padre e che certe volte è tornato utile anche a me! Così tu e la tua task force lavorate e poi ci dite a cose fatte. Che tanto così sempre andrà a finire! E se proprio questi giornalisti ti assicutano, tu di' loro un altro detto:"un fissa a vota", che è, invece, un detto caro a mia madre, la quale lo ripeteva specie quando tentava di sedersi a tavola dopo aver cucinato, apparecchiato e servito tutti, e mio padre nel frattempo continuava ad avanzare richieste al suon di "Mari' pigliami..."! Ecco mia madre gli rispondeva così: "un fissa a vota!" che io ho sempre interpretato come "una cosa alla volta". Tu di' pertanto a chi ti chiede che  per ora chiudiamo quest'anno e che per il prossimo poi si vedrà. Incarna, peraltro, di più, a mio parere, la nostra siciliana indole a rimandare quel che si può rimandare, o no?
E termino raccontandoti quali reazioni scatena l'elenco dei tuoi scenari per il nostro futuro scolastico, all'interno di famigliole tipo la mia, composta da due genitori insegnanti e una futura allieva di scuola primaria. 
Quando qualche giorno fa già parlasti di lavaggio di mani all'ingresso, telecamere in classe, gruppi in presenza e gruppi a distanza, con mio marito, dopo cena a tavola, abbiamo iniziato a fare ipotesi, calandoci-sempre per l'utile giochetto di cui sopra- in situazioni reali. Ci siamo reciprocamente pensati lui in palestra per la sua materia, io in aula per le mie, a fare contemporaneamente lezione ad un gruppo in presenza e ad un altro a distanza. E ci siamo subito chiesti come avremmo fatto a rivolgere la nostra attenzione anche agli alunni a distanza e soprattutto se a loro, in quella situazione, sarebbe richiesto di essere solo spettatori di uno spettacolo che sta andando in scena a scuola o se sarebbero chiamati ad interagire anche loro da casa con noi e i loro compagni. E come a quel punto?
Noi, almeno io e mio marito s'intende, queste cose e tante altre ancora non le abbiamo capite. Però forse è presto anche per noi. E soprattutto non abbiamo capito secondo quali criteri si stabilirebbe quale metà classe far stare a casa e quale, invece, far venire a scuola. Lo so che ci sarebbero organi collegiali deputati a stilarli questi criteri secondo agevolissime linee guida da voi del MIUR forniteci: parlo di consigli di istituto e collegi docenti! Ma sono proprio questi "assembramenti di idee" nell'atto di decidere che, cara Ministra, mi preoccupano tanto!  Intanto, sempre quella sera, mentre io e mio marito parlavamo, mia figlia incuriosita ci ascoltava e, alla fine, ha chiesto se stessimo giocando ad un nuovo gioco di ruolo. Domanda lecita la sua perché ci vedeva anche ridere qua e là. Infatti io e mio marito, ad un certo punto, abbiamo immaginato i nostri santi collaboratori scolastici, i quali all'ingresso ci accoglierebbero benedicendoci con acqua e sapone al mattino, per le abluzioni rituali prima delle lezioni in presenza. Poi gli stessi vestirebbero i panni di cameraman pronti a darci la 1, la  2 o la 3 mentre noi ci muoviamo da un'aula all'altra con i nostri colleghi. E questa cosa ci ha fatti ridere con le lacrime. Perché, ci siamo detti, secondo noi sarebbe più facile dotare le scuole di collaboratori scolastici cameramen che dotare ogni aula di telecamere fisse: non trovi? Pensaci già che ci sei. E così implementiamo il numero dei collaboratori dei quali scarseggiamo non poco. Scenario più scenario meno che importa.
Io, che sono come il pastore del presepe di cartone, di una poesia di Rodari, perché come lui "non comando niente" , dico che le uniche strade percorribili per il nostro futuro anno scolastico sono solo due: o tutti dentro o tutti fuori! E che queste modalità miste o metà e metà non sono realizzabili. Lo so che a te, cara ministra, le classi-pollaio ti fanno paura: ti assicuro che fanno paura soprattutto a tutti noi, sia docenti che genitori. Perché i"polli" che dentro vi assembriamo sono i nostri figli!  Ed io che sono pure docente "allevatrice" ci dovrei stare dentro. Ma le classi non sono neanche delle torte: e dividerle a metà ti assicuro che è la cosa più difficile che ci possa essere chiesta! A te l'arduo compito di darci risposte, quando però  le avrai. Ti aspetta un'estate dura, forse la più dura di sempre e io questo non lo nego. Posso solo augurarmi che tu e i tuoi collaboratori possiate pensare tra i tanti scenari astratti che la scuola è fatta di tanti, milioni, individui concreti.
Con stima e gratitudine per ciò che intanto tu stai facendo per noi.
Una tua docente 
Margherita Cerniglia 

venerdì 24 aprile 2020

La sedia di Mecu

L'immagine con cui si apre questo post è quella che rimanda al titolo dello stesso. Essa si trova alla voce "Strage di Barbania" dell'enciclopedia online Wikipedia. L'immagine è di proprietà del professore Mimmo Antinietti, docente di Lettere da anni in pensione della allora scuola media di Balangero, esperto di storia contemporanea del territorio e volontario presso il Centro di Documentazione "Nicola Grosa" di Lanzo T.se. È lì, nella sede del Centro che dal 2007 si trova in via Usseglio 6, che la sedia di Mecu si trova. Ed è lì che con i miei ragazzi di quella che nel 2016/2017 era la mia III C di Lanzo, noi la vedemmo per la prima volta, la mattina del 21 aprile 2017. Sotto la sapiente guida del professor Antonietti in quell'occasione visitammo i locali del Centro e assistemmo ad una interessante lezione di storia sulla Resistenza nelle Valli tenuta dal professore Antonietti presso la piccola sala conferenza del secondo piano del Centro. Il professore ci raccontò tante storie, partendo da quella del comandante Nicola Grosa, cui il Centro è dedicato, passando alla storia di Ines Poggetto, maestra, staffetta partigiana, figura assai attiva nella vita socio-politico-culturale della comunità lanzese e grazie alla quale il Centro nel 1985 nacque ufficialmente. Il professore ci raccontò la storia degli IMI (Internati Militari Italiani), più di 600.000 soldati che vennero deportati dai tedeschi in Germania e in Austria dopo l'annuncio dell'armistizio dell'8 settembre 1943. Ci raccontò dei tanti rastrellamenti che dal gennaio del   '44 a giugno dello stesso anno vennero, quasi mensilmente, compiuti a Lanzo dove si susseguirono molte formazioni repubblicane e naziste tra cui SS italiane e dove, proprio lungo via Usseglio al numero 26, sorse poi un posto di blocco di SS ivi installatosi dopo quella che fu la cosiddetta "battaglia di Lanzo" del 26 giugno 1944, quando arrivarono i primi contingenti tedeschi in collegio salesiano. Tanti nomi e cognomi che risuonano forse più familiari soprattutto a chi è nato e cresciuto da queste parti: come quello di Natale Rolando, detto Rolandino, comandante partigiano; Giuseppe Morino detto Clotu che a soli 22 anni insieme all'amico Giovanni Battista Paoluzzi di Udine, ospite presso il Morino e di due anni più giovane, morirono nella battaglia di Lanzo per aver tentato l'assalto ai mezzi corazzati nemici: furono entrambi colpiti dalle schegge di una granata nemica che li fece saltare in aria per via dell'esplosivo che i due ragazzi portavano nel loro tascapane. E poi altre storie, altri nomi che, qualche giorno dopo quel 21 aprile, cercai di riordinare in uno scritto che volli rimanesse a mia memoria, dei miei ragazzi, che contribuirono a scriverlo, ed anche a memoria per le mie future classi, con cui torno a condividerlo. Da lì oggi ho attinto per scrivere questo post e per raccontare la storia della sedia di Mecu che di quello scritto rappresenta la parte finale. 
Quando misi per iscritto il mio racconto di quella mattinata trascorsa con il professore Antonietti e la mia terza C, ne inviai copia al professore perché rileggesse il tutto e intervenisse là dove avevo omesso o detto male ciò che lui ci aveva raccontato. Il mio racconto ebbe perciò più valore quando il professor Antonietti mi disse che andava bene.♥️
Ed oggi, come allora, gli invierò il link a questo post: sarà un modo per augurargli buon 25 aprile attraverso lo splendido ricordo che di lui e delle sue conoscenze conservo. 
Ed ora la sedia di Mecu.
La visita della terza C si concluse al primo piano del Centro di documentazione, dove al termine della lezione di storia, la nostra guida mostrò ai ragazzi alcuni cimeli del periodo bellico e della Resistenza ivi conservati. E l'oggetto che più di altri colpì l' attenzione dei giovanissimi visitatori fu proprio quella sedia, così come la si vede nella foto ad apertura di questo post. E la storia che il professor Antonietti loro narrò.
Domenico Caporossi aveva 17 anni quando su quella sedia avvenne la sua esecuzione il 21 febbraio del '45, sulla piazza principale di Barbania in occasione  della omonima strage.  Giovanissimo partigiano, Domenico era stato arrestato proprio a Ciriè il 17 febbraio e sottoposto a tante ore di torture in seguito alle quali, nonostante la sua giovanissima età, non gli fu più possibile stare in piedi. Su quella sedia venne perciò trasportato a Barbania, dove avvenne la sua esecuzione insieme a quella di altre nove persone. Su quella sedia oggi al Centro c'è la foto di Domenico, che con i nostri ragazzi abbiamo ribattezzato "Mecu", ma il cui nome di battaglia era Miguel♥️. E accanto alla foto c'è la trascrizione della lettera che Domenico scrisse alla madre, prima di morire, sul retro di una busta. Dopo che il 21 aprile del 2017 il professor Antonietti ebbe raccontato ai ragazzi la storia di Domenico e di quella sedia, chiesi ad uno dei miei ragazzi di leggerla. Giorgio G. si offrì di farlo e non senza commozione così lesse:"Cara Mamma Vado a morire, ma da partigiano, col sorriso sulle labbra ed una fede nel cuore. Non star malinconica io muoio contento. Saluta amici e parenti ed un forte abbraccio e bacioni al piccolo Imperio e Ilenio e il Caro Papà, e nonna e nonno e di ricordarsene sempre. Ciau Vostro Figlio Domenico". 
Per Domenico, per tanti che come lui scelsero e combatterono a favore della loro scelta per regalarci quella libertà di cui godiamo ancora oggi, è necessario festeggiare il 25 aprile, ricordare le storie, tante, di chi quel 25 aprile ha contribuito a farlo, perché conoscerle e trasmetterle ad altri è cercare di insegnare a possedere alti ideali di libertà, per difendere i quali è necessario combattere.
Buon 25 aprile♥️

venerdì 10 aprile 2020

L'onnIMpotenza

Leggendo, penso e talora mi viene voglia di scrivere. Polpettoni  di pensieri, come quello nella cui preparazione è specializzata la mamma di Margherita Dolcevita, dell'omonimo romanzo di Stefano Benni. Così prima, ripensando ai dialoghi tra Nick Belane, protagonista di "Pulp", e la sua principale interlocutrice, la Signora Morte, il personaggio bukowskiano mi ha fatto venire in mente la parola "onnIMpotenza" , 
cui sento assimilabile l'umana e collettiva esperienza che stiamo sperimentando. Siamo tutti diventati improvvisamente impotenti di fronte a ciò che prima potevamo. Ognuno secondo le proprie possibilità e neppure in ogni parte del mondo. 😥
Potere, tra gli altri suoi fratelli servili, dovere e volere, per sua natura comanda. Ed è proprio in questi giorni di "onnIMpotenza" che la sua assenza mi porta a pensare alla sua importanza, alla sua potenza appunto. Perché tutto ciò che vorrei, ad esempio, passa per ciò che non posso più fare.
 Tutti sappiamo di essere impotenti di fronte a certi aspetti dell'umana natura: il dolore, la morte, le malattie, la vecchiaia propri o altrui sono le esperienze comuni all'umana impotenza. Che ora, tutti allo stesso tempo stiamo sperimentando, alcuni più da vicino rispetto ad altri, ma tutti sentendoli a noi più vicini. 
La paura di ammalarci e perché no di morire, di vedere morire chi è anziano ma che non saremmo ancora pronti a salutare, il dolore per chi questa perdita l'ha vissuta in queste settimane, ci hanno resi tutti onnIMpotenti. E poi chi di noi non ha paura di invecchiare, di diventare più fragile in un mondo nel quale i nostri figli ci appaiono oggi troppo fragili loro per poterlo affrontare? Io ne ho tanta. Le guerre, le grandi guerre del XX secolo, hanno forse lasciato queste ferite dentro chi le ha vissute. Pensavo a Liliana Segre, prima, ai pochi ancora superstiti all'orrore dei lager: ai loro pensieri in questi giorni sospesi, tristi, lontani da chi vorremmo vicino, giorni in cui le paure tornano a riaprire ferite vecchie, a far riaffiorare traumi passati♥️
Mentre scrivo, sono fuori, all'aria aperta ma chiusa dello spazio minuscolo qual è il balconcino della mia camera da letto, eletto a mio "ermo colle" in queste settimane. La balaustra che "da ogni parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude"  è diventata la mia siepe. Qui mi ritiro per poche ore pomeridiane nei weekend quando stacco dalla Dad; qui trascorrerò questi giorni di vacanze almeno nelle poche ore di solitudine postprandiale  che a vicenda io e Luca ci regaliamo, occupandoci di Celeste alternativamente in questa parte  del giorno. Prima lui e poi io. È il nostro reciproco regalo♥️ Abbiamo da sempre concesso l'uno all'altra uno spazio personale dentro il nostro essere "noi", quello che io dedico ai miei libri, allo studio in generale o alle mie passioni più giovani, come la fotografia,  e lui alla sua Musa, la musica♥️. Ed ora più che mai continuiamo a mantenerlo  in vita quello spazio, in cui prima io e poi lui, ciascuno a suo modo, ritroviamo noi stessi. Insieme ad una quotidianità che in parte si ripete da settimane ormai, mentre cerchiamo di trovare nuove strade da percorrere e nuovi stimoli da trasmettere e trasmetterci.Tacitamente, però,  condividiamo  anche quel grande senso di onnIMpotenza che sembra aver travolto tutti. Perché quello che potevamo fare, ognuno secondo i propri "poteri" non c'è più. In fondo, come dice Celeste pensando ad Harry Potter e al suo magico mondo, anche noi Babbani di "poteri" ne abbiamo♥️ E come darle torto. Certo nessuno ad oggi sa dirci quando potremo tornare a riaverli, quando torneremo a riavere le nostre possibilità. Prima o poi.
E una delle prime possibilità di cui spero di appropriarmi è quella di superare la soglia del cancello di casa mia senza provare la paura che provo adesso e che pertanto mi impedisce di varcarlo.
Io non ho mai più messo un piede fuori casa dal lontano 23 febbraio e Celeste con me e anche se so che prima o poi dovrò farlo, indossando una mascherina e un paio di guanti, ad oggi non ho trovato ancora la forza di farlo. Potrà sembrare sciocco agli occhi di chi lo ha già fatto: qualcuno mi dice che "devo". Lo so, 
ma per me purtroppo non è  così facile. Si chiama paura, e ognuno scopre in questo momento di avere le proprie,  o, forse, è proprio questo momento ad avere portato a galla in ognuno le personali paure. Anche quelle che pensavamo di non poter provare.
Come scriveva qualche giorno fa il mio scrittore amico Gazzaniga, "questa lunga sospensione della vita sembra perfetta per stuzzicare i dolori, portare a galla le fragilità, denudare le persone portandole al nocciolo". Io per me  ho scoperto mie nuove fragilità e se temo il protrarsi  di un presente così sospeso è anche perché ho paura di incontrarne ancora. E non solo.
Oggi, per chi crede, è il giorno nel quale un uomo solo, le cui carni furono messe a nudo, in-caricato delle umane fragilità, degli umani dolori, sotto il cui peso è diventato più fragile e dolente,  al grido di "ηλει ηλει λεμα σαβαχθανει ", ha lasciato questo mondo. Anche Gesù, l'uomo, ha avuto paura nel momento estremo della sua giovane vita: il suo grido, "Dio mio, Dio perché mi hai abbandonato", è  il grido della sua fragilità umana. Il mistero delle sua passione, della sua morte e della sua resurrezione continua a ripetersi da duemila anni: "è la storia di un evento impossibile che pure accade", come scrive Emmanuel Carrere ne il prologo a "Il Regno". 
Oggi nell'osservare quella croce provo per la prima volta quel senso di umana onnIMpotenza che mai, come adesso, ho sentito così forte e così mia. "ηλει ηλει λεμα σαβαχθανει" è oggi più che mai un grido tutto umano, il più umano, di chi pur essendo pronto al sacrificio, sente nel momento estremo il bisogno di esternare  il suo sentirsi solo che è anche l'umano desiderio di non essere lasciato solo. Solo con le proprie paure, solo con le proprie fragilità, solo con le proprie ferite. Solo.
Quell'umana onnIMpotenza terrena oggi, dopo più di duemila anni, si ripete di nuovo, ma ha un sapore nuovo.♥️

sabato 4 aprile 2020

L'aula che (non) c'è

Se ognuno di noi fosse chiamato a fare un elenco di tutto ciò che in questo momento (?) non ha più, si ritroverebbe, stilandolo, a provare quella che Eco, in uno dei suoi saggi, chiama la "vertigine della lista". Tutti credo che porremmo in cima al nostro elenco ciò di cui per primo sentiamo la mancanza. Immaginando "elenchi di luoghi perduti" tanti avrebbero in comune proprio  quegli spazi che in quanto pubblici sono comuni a più persone. Sono questi ad oggi i luoghi che  non possiamo permetterci di abitare. E l'aula è uno di questi: lo spazio dentro al quale tanti di noi, docenti e allievi, trascorrono metà delle loro giornate. L'aula, a cui soprattutto ho dedicato questo post stamane, è uno di quei luoghi che, dalla sospensione delle attività scolastiche, non solo si è svuotata ma ha anche mutato forma o, se vogliamo, si è trasferita nel più ampio e "indeterminato spazio" della rete. Una sorta di leopardiana dimensione infinita, dentro la quale però il naufragar di certo non è affatto dolce! Se ad essere vuote oggi sono tutte le aule degli edifici scolastici del nostro Paese,  è anche vero che la maggior parte di esse ha cambiato aspetto e ubicazione, trasferendosi negli spazi virtuali che la rete offre e che hanno concesso alle aule di rinascere in forma diversa. Una sorta di "mutatis mutandis": siamo stati costretti a cambiare ciò che andava cambiato. 
Oggi gli alunni del nostro Paese, molti della primaria ma di certo tutti quelli della secondaria di primo e secondo grado, abitano nuovi spazi scolastici, ritrovandosi lì con i propri compagni e con i propri insegnanti secondo le nuove modalità che la didattica a distanza (DaD) permette di utilizzare. Ma dentro le nuove aule virtuali senza più pareti né porte di accesso che non siano link d'invito ad esse, non entrano più solo i nostri ragazzi e noi docenti che in genere ci alterniamo secondo il nostro orario, no. Siamo sempre e inevitabilmente molti di più. 
Ci sono spazi d'aula-a detta di colleghi di altre scuole che ne stanno facendo uso - nei quali ciascun docente  può visionare tutto quello che viene "postato"  da altri  docenti, perché  l'intero consiglio di classe ha un unico luogo comune nel quale condividere il materiale prodotto per i ragazzi della classe. E fin qui va anche bene...forse.  In questi casi il modo per gestire singolarmente la propria ora di lezione con gli allievi della classe è per il docente quello di fare la diretta secondo orario scolastico. Ma anche in questo caso il numero dei partecipanti può ritrovarsi ad essere assai più alto: se il docente dovesse fare l'appello per stabilire chi è veramente,o virtualmente, presente alla sua lezione non potrebbe non tenere conto nel novero di madri, padri, fratelli e sorelle la cui presenza, anche solo di passaggio, alla lezione del prof di certo non sarà quest'ultimo a poter impedire. Un docente che entra, in diretta o in differita, nelle case dei propri ragazzi per svolgere la propria lezione a distanza in questo momento, che potere ha di impedire all'intera famiglia o anche solo a qualche membro oltre allo scolaro, di assistere a ciò che da insegnante questi sta facendo? Che potere ha il docente di fare in modo che un familiare non  si sostituisca allo scolaro nel fare quanto richiestogli? Nessuno. Qual è il confine che delimita ciò che il docente fa di solito in classe con i propri ragazzi e solo con loro,  rispetto a ciò che adesso fa in compagnia loro e di chi vive sotto lo stesso tetto del proprio alunno? Quanto ciò può  inibire il docente nella sua gestione del gruppo classe? Quali problemi ci porrà- perché ce li porrà- la valutazione, seppur formativa, che avremo da stilare? Cosa staremo valutando e cosa staremo, invece , tralasciando ? E come la mettiamo con "inclusione per tutti" e "valorizzazione delle eccellenze" per alcuni? O ma saranno mica questi i problemi al momento, verrebbe da dire! Eppure la ministra Vulviolina solo ieri o l'altroieri da Repubblica lanciava proclami su "promozione per tutti", che come campagna promozionale va benissimo: motivazionale, invece, assai meno! Bisognerebbe chiederlo, però, anche ad alcuni genitori, almeno a quelli che al momento non dormono la notte e scassano i cabassisi durante il giorno sulle future valutazioni dei propri pargoli. 
Il problema di gestione dello studente, inoltre, se non si pone o molto poco nella scuola secondaria di secondo grado, perché per la maggior parte dei ragazzi il rapporto con la scuola è in genere assai più autonomo, a mano a mano che si scende di grado fino alla primaria il problema si pone eccome. Lì la gestione del ragazzino o, peggio ancora del bambino, necessita spesso anche  della collaborazione del genitore. Dalla accensione del mezzo con cui il ragazzo o il bambino "entrerà in aula", alla sorveglianza dello stesso durante la lezione, per i più svariati motivi, allo svolgimento dei compiti,  il genitore- chi più chi meno- si sentirà in dovere (?) di intervenire. E magari di condividere i propri interventi in quei ruttodromi, come li chiama Gramellini,  che sono i gruppi watsapp. In che modo, però, la partecipazione del familiare oltrepassa spesso i confini che non gli sarebbe permesso oltrepassare? Non possiamo dimenticare che tra le tante tipologie genitoriali, la specie umana pullula di genitori che tutelano sempre e solo i propri interessi, loro e della propria prole. E in questo momento ciò espone noi docenti per l'ennesima volta a massicce ingerenze nel nostro lavoro: chi ci tutela? Ci sono circolari che stabiliscono modalità e tempi dell'interazione con ragazzi e famiglie, e che in alcune scuole più che in altre stanno influendo pesantemente sulla qualità del  lavoro docente, ledendo la possibilità da parte dello stesso di esercitare al meglio un proprio grande diritto che sebbene ci appartenga, facciamo dannatamente sempre più fatica ad esercitare: la "libertà di insegnamento". 
Mi si potrà obiettare a quest'affermazione sostenendo che ci sono anche docenti i quali, in questo momento, non si stanno forse mostrando all'altezza del proprio compito, limitandosi pertanto ad assegnare solo compiti. Probabilmente sì: e risponderanno loro, semmai, del loro lacunoso lavoro a chi dovranno. Di certo, però, tra i tantissimi colleghi che da nord a sud conosco e con i quali interagisco spessissimo in questo momento, mi arrivano racconti che somigliano molto a quelli che potrei scrivere io già da settimane nelle quali 18 ore le supero in due sole giornate, nelle quali i sabati e le domeniche mi si scrive e mi si telefona, e mi si scassano i cabbasisi per ogni questione di lana caprina sopraggiunta. Settimane nelle quali la mia vista ne sta notevolmente risentendo, la mia schiena non ne parliamo. Settimane nelle quali la qualità della mia vita  individuale e familiare, il mio essere anche madre e donna in questo momento viene dopo l'essere soprattutto insegnante. Che alcuni sostengono sia una missione, io ritengo sia un lavoro come altri con tempi e orari che vorrei fossero anche ora più stabili e meno flessibili. E cosa ancora più amara è che dall'alto dell'Olimpo ministeriale non arrivano ad oggi né regole chiare e 
condivisibili per tutti né tempi né modi legati ad una chiusura dell'anno scolastico che prima o poi dovrà giungere. E che non so come raggiungeremo.
Circolano scenette anche assai esilaranti sull'interazione scuola famiglia ai tempi della didattica a distanza. La quale, per quanto doverosa sia in questo momento di epocale portata, non deve e non può farci dimenticare  che la scuola arriva da anni di ingerenze genitoriali massicce sul piano della didattica e non solo. I genitori di oggi (non tutti, ma in buona parte) si sentono ormai investiti, non si sa a che titolo, ad intervenire di continuo su molti aspetti che sarebbe vertiginosamente lungo elencare qui. E quello che nel gergo scolastico si chiama "patto di corresponsabilità tra scuola e famiglia" si traduce il più delle volte in un alternarsi di dichiarazioni  di guerra ai danni di scuola e/o dei singoli docenti accusati di colpe e caricati di responsabilità che in molti casi andrebbero più correttamente vagliate e distribuite. Ma ci vorrebbe, come diceva sempre un mio caro insegnante, quello che in siciliano si chiama "u crivu", il setaccio o vaglio: la parola dialettale deriva più direttamente da una lingua a me cara, il greco, e in particolare dal verbo "krino" che significa appunti "cernere, vagliare, separare". Ecco separare, appunto! 
Ora separare, stabilire i confini tra ciò che è aula e ciò che non lo è, diventa ancora più difficile, se non addirittura impossibile. 
Io non so quando tutto questo finirà e, soprattutto, come finirà. So che ci attendono scenari poco rassicuranti sul piano socioeconomico e culturale dai cui effetti la scuola è già stata investita in pieno. E se ancora si profilano arcobaleni all'orizzonte con su scritto che tutto andrà bene, beh io di arcobaleni su scuole e ospedali non ne vedo né mi interessa vederne. Vedo piuttosto macerie, grandi come i danni fatti alla sanità e alla scuola in questi anni e dei quali neanche questa volta nessuno risponderà. Macerie che non sarà certo facile rimuovere, specie in un Paese come il nostro dalla lingua tanto lunga, dalla memoria tanto corta e dalle asce sempre più affilate che cadranno come sempre sulle teste dei più disgraziati. Lavoratori che nonostante tutto in questo momento sono chiamati ad una forma di resistenza estrema negli sconfinati reparti degli ospedali e nelle altrettante sconfinate aule che (non) ci sono.

venerdì 20 marzo 2020

Buon compleanno a te

Cara Maria Celeste
Oggi ho deciso di scriverti come farò, d'ora in poi, ogni anno in questo giorno. È il tuo sesto compleanno, questo, la tua sesta Primavera ed anche la nostra, mia e del tuo papà.
Sei nata all'1,23 del primo giorno di Primavera del 2014, inaugurando una nuova stagione per me e il tuo GGG♥️
Mi sono alzata presto stamattina, perché bisogna preparare la festa: Sconforso ha deciso di aiutarmi e insieme ti faremo una sorpresa. D'altronde gli orsi in primavera escono dal loro letargo ed è quello che finalmente  è accaduto anche a lui. Ha deciso di radunare orsi, bambole e pupazzi per la tua festa. È l'unico assembramento concessoci di questi tempi😊♥️L'idea è stata di Winnie, a dire il vero. Ci ha ricordato la festa da lui e dai suoi amici organizzata per festeggiare Cristopher Robin prima che questi cominciasse ad andare a scuola. Winnie, Tigro, Pimpi, Ro, Tappo, Kanga e Ih-oh hanno organizzato una splendida festa nel bosco dei Cento Acri mangiando, bevendo, cantando e festeggiando Christopher. A Sconforso l'idea è piaciuta tantissimo e ora, lui ed io, con l'aiuto di Winnie, stiamo cercando di preparare tutto prima del tuo risveglio. Oggi in casa sarà festa tutto il giorno: niente teledidattica, anche perché il sabato mica si va a scuola😄
 Papà ieri sera ha preparato qualcosa per te. 
Ti abbiamo spiegato che un regalo non potrai averlo, anche perché quello che ieri sera, piangendo pensando ad oggi, ci hai chiesto, è davvero impossibile da realizzare al momento. Hai fatto un lungo elenco, credo la più lunga lista di regali che tu abbia mai stilato finora, e ci hai fatto promettere che prima o poi arriveranno. Te l'abbiamo promesso: non sarà oggi né domani, non sappiamo dirti quando, ma arriveranno. Noi speriamo presto. Eccola la tua lista dei desideri: Irene, Gaia e Noemi; Vittorio, Leo, Franco, Matteo e Andrea. E poi ancora Carlo Alberto, Simone;  Michele; Lorenzo e Marco; Nicolò; Agnese e Camilla e le tue amiche ballerine; e i tuoi amichetti del Flauto di Pan e le tue cuginette Sara, Alessia e Chiara. E quando ti ho fatto notare che loro tre, le tue cuginette, sono comunque lontane da qui hai proposto di fare una seconda festa al nostro arrivo in Sicilia con loro, i nonni, gli zii, tanti cugini♥️♥️ Quante feste, figlia mia! 
Fai mille domande in questi giorni, ma alcune tornano assai più spesso di altre: per esempio mi chiedi quando tornerai a scuola e soprattutto ti interroghi su dove andrai. Perché questo avrebbe dovuto essere il tuo ultimo anno d'asilo, prima di cominciare la scuola primaria, ma noi non sapremo se quest'ultimo anno terminerà là dove è cominciato o qui in casa. A quest'età riusciamo ancora a farti credere che le cose andranno come noi speriamo che vadano. Perché anche la Speranza è rimasta ad abitare nella casa degli uomini, quando tutti gli altri mali, prima di lei, sono fuoriusciti dal famigerato vaso. È la storia che ti ho raccontato qualche tempo fa, perché le storie (che alla tua mamma piacciono tanto e, spero, anche a te) spesso ci aiutano a capire meglio tante cose talora incompre sibili. Questa, che ha come protagonista anche la Speranza, ha inizio nell'Olimpo di Zeuz, il dio degli dei che era tanto arrabbiato con Prometeo, il titano troppo amico degli uomini. Per questo Zeus decide di punirlo. E sai che fa? Chiama Efesto, il dio fabbro, e gli chede di plasmare una donna molto bella che Ermes, messaggero degli dei, porterà sulla terra per darla in sposa a Epimeteo. Ti ricordi cosa ti avevo detto a proposito  quest'ultimo? Lui era il fratello tonto di Prometeo e non capì che Pandora- così fu chiamata la donna- era un tranello di Zeus. E sai perché fu chiamata Pandora? Perché portava con sé "tutti i doni", i più non proprio belli, come i mali che avrebbero afflitto la terra e i suoi abitanti se si fossero sparsi. Pandora li portava dentro un vaso, ma mica lo sapeva, poveretta. A lei era stato detto di non aprirlo quel vaso, però lei, curiosa com'era, lo aprì. Da ciò il detto che "la curiosità è donna"! E quando Pandora aprì il vaso ne fuoriuscirono tutti i mali: la vecchiaia, la gelosia, la malattia, il dolore, la pazzia ed il vizio si abbatterono sull'umanità. Sul fondo del vaso rimase solo la speranza, che non fece in tempo ad allontanarsi perché il vaso fu chiuso nuovamente dalla donna che a quel punto capì di avere sbagliato. Ma poi Pandora, quando vide che il mondo era diventato cupo, liberò anche la Speranza. E gli uomini ne furono consolati. 
Quando sarai più grande ti spiegherò meglio cos'altro c'è dietro a questa storiella che ci riporta ad un altro detto:"chi dice donna dice danno"! Ma noi sappiamo che non è così, anzi😉😉😉
Questa storia, intanto, è il mio regalo per te oggi, mia adorata Maria Celeste. Voglio regalarti la speranza, bimba mia, non che tutto torni come prima, no, ma che da questa lunga pausa e altrettanta paura che stiamo vivendo, il mondo si scuota, noi tutti ci scoutiamo, cambiando direzione, permettendo così a te e a tutti voi bambini di costruire la vostra vita futura in un mondo migliore. 
Ti voglio bene
La tua mamma e il suo collaborator-so♥️♥️♥️

lunedì 16 marzo 2020

Bisogna pur viaggiare...almeno con la fantasia.

Con i miei ragazzi di prima media ho scelto di  continuare a lavorare sul genere fantasy durante questa teledidattica esperienza, per una serie di ragioni che cercherò di spiegare brevemente di seguito. Intanto ho voluto mantenere una continuità con quanto stavamo svolgendo in classe prima che ci si fermasse così a lungo in casa. Avevamo viaggiato ed esplorato insieme a Dorothy ed al suo cagnolino, il meraviglioso mondo di Oz; lo avevamo raccontato da punti di vista differenti- dal punto di vista delle scarpette, del ciclone, dello stesso Totò. E questo perché, ci siamo detti, qualunque viaggio assume caratteristiche differenti a seconda di chi lo compie e di chi, poi, ce lo verrà a raccontare: essere un paio di scarpette d'argento magiche ai piedi di chi non ne conosce il potere se non alla fine di un viaggio che avrebbe potuto evitare, oppure essere un ciclone  dispettoso capace di trasportare una casa ed  i suoi abitanti addirittura  in un mondo altro o ancora essere un cagnolino muto al cospetto di tanti esseri- animali compresi- che invece parlano, sono storie da scrivere dentro una storia già scritta. E i miei primini così han fatto😊😊.
Pertanto io e loro eravamo già partiti per un viaggio sulle ali della fantasia e ora più che mai abbiamo bisogno, seppur a distanza, di continuare a farlo.
Allora in questi giorni mi sono chiesta come, e ho messo insieme alcuni strumenti che permettano a me e a loro di continuare da dove ci eravamo lasciati.
Ho rifatto il punto della situazione, una sorta di carta d'identità del genere fantasy, esemplificata dalla conoscenza del testo su cui abbiamo lavorato. Peraltro il 21 febbraio, ultimo giorno di scuola prima della pausa di Carnevale mai più interrottasi, la classe era andata al teatro Carignano ad assistere ad uno spettacolo proprio su "Il mago di Oz", sulla cui rivisitazione scenica al termine della stessa, i più erano stati capaci di cogliere  analogie e differenze♥️
Ora pertanto non ci resta che leggere altre storie fantasy  a partire da quelle offertaci dalla loro antologia. "Compagni di viaggio" vol.1 -questo è il titolo del nostro testo antologico in adozione, edito dalla Loescher- ci offre una carrellata di brani fantasy che a me non va di assegnare loro da leggere da pagina a pagina. Che noia, poveretti! Non lo avrei fatto nella nostra aula reale e non voglio farlo neppure adesso. E allora? Perché, mi sono detta,  non provare a far fare loro una caccia ai tesori che dentro questi brani potremmo scovare? Per farla ho dato vita ad un testo regolativo: il regolamento della caccia...dentro i testi e a distanza. E quindi, per far sì che i miei primini non si perdano dentro mondi paralleli e tra creature immaginarie, ho dovuto realizzare anche una mappa del tesoro. Non è così semplice farli entrare ed uscire da armadi, far percorrere loro Boschi Fruscianti, far disputare loro un torneo di Quidditch per conquistare il boccino d'oro o partecipare addirittura ad un raduno di Gyziani. 😅😅Peraltro ciascuno dovrà  portare con sé, al termine di ogni fantasiosa avventura, un pezzo necessario poi a costruire la nostra futura avventura. Già perché alla fine di questa caccia, dovremmo provare a tirare fuori nuove idee narrativeinput per nuove storie. Queste le sottoporremo ai voti e quella che ne avrà ricevuto di più diventerà l'idea narrativa guida. Intanto la nostra caccia al tesoro ci avrà fatto osservare da vicino oggetti magici, mondi paralleli, creature immaginarie e personaggi dotati di segni o poteri particolari affinché anche noi potremo produrre i nostri. Avremo conosciuto più da vicino come si usa una descrizione a servizio di un genere letterario.
Sono da sempre convinta, ancor più da quando insegno alle medie, che far lavorare i ragazzi sulle tipologie testuali, ad es il testo descrittivo, scorponandone l'uso dal genere dentro al quale il più delle volte lo incontriamo, sia un lavoro poco efficace a quell'età. 
Mi spiego meglio. Cosa se ne devono fare della descrizione delle loro scarpe da ginnastica, della loro cameretta o del loro cagnolone se non dentro una storia in cui "accadono fatti"? Il mio amico Gazzaniga,  nella diretta Facebook di sabato mattina dal suo terrazzo su Valpolcevera, raccontandoci dei suoi libri, si è soffermato a parlare anche della sua idea di storie vincenti: storie che tengano incollati i lettori alla pagina. "La scrittura"- diceva Gazzaniga sabato- "è un esercizio di empatia", "le storie sono belle quando accadono fatti al loro interno". Ed è vero. Lo sentiamo da lettori ma ancor più da docenti alle prese con  i tentativi di insegnare ai ragazzi a scrivere: io credo che si debbano fare nostre queste piccole grandi ricette-guida, quando spingiamo i nostri ragazzi a scrivere. Dobbiamo essere in grado di far entrare i nostri ragazzi in empatia con l'attività di scrittura che chiediamo loro di fare e spingerli a far accadere, dentro le loro storie, azioni. 
Così avrà un senso, per loro che la scriveranno e per noi che gliela faremo scrivere, anche la descrizione del paio di scarpe da ginnastica. Sarà più bello se poi magari chiediamo loro di immaginare le loro scarpe da ginnastica a dialogo con i loro piedi o con i loro calzini; oppure dopo una lunga giornata a fare l'unica azione che le scarpe sono in grado di compiere, "scarpinare", immaginarle a dialogo con il condominio-scarpiera dentro  cui abitano, nel quale racconteranno la loro giornata- doppiamente vissuta😂- e magari definiranno beate le vecchie e consumate suole ormai in pensione!😂
Insomma scrivere per me e per loro deve essere anche fonte di divertimento!♥️♥️
Ed ora torno di nuovo a dove, didatticamente, ci eravamo lasciati per giungere al finale di questa attività. Quando ciascuno sarà  pronto- al termine della caccia- a proporre un'idea di oggetto magico capace di portarci in un mondo parallelo, un'idea di mondo immaginario e il perché ci si potrebbe finire dentro ed un identikit, infine,   del personaggio protagonista, si voterà. I tre elementi più votati saranno gli ingredienti del nostro racconto fantasy. 
Dimenticavo le creature immaginarie:  per quelle  avremo il bestiario del nostro amico Benni. E dico nostro, mio e dei miei primini, perché quest'anno noi "Stranalandia" di Benni l'abbiamo esplorata. E Osvaldo, il suo unico abitante, ci presterà qualcuno degli strani animali della terra in cui vive.  A proposito: anche lui e i suoi strani conterranei stanno facendo il tifo per noi al momento. Anche loro, infatti, sono convinti che "Tutto andrà bene"♥️♥️♥️
A quel punto, solo allora, il nostro racconto fantasy nascerà: dopo che avremo vinto questa battaglia reale e ci ritroveremo a poterla raccontare.♥️♥️

giovedì 12 marzo 2020

Lezioni di epica (Iliade)

File audio con analisi e commento del brano alle pp. 122-123 del libro di Epica: ecco il link per ascoltarlo

mercoledì 11 marzo 2020

Storia di quella volta in cui ci dicevano che tutto sarebbe andato bene. E così fu.

Per me stamane il risveglio è stato diverso: dopo il discorso di Conte, il nostro Presidente del Consiglio, ieri sera alla nazione, addormentarmi non  mi è stato facile.
In realtà io faccio questa vita da reclusa dal 23 febbraio, da quando per la prima volta  qui in Piemonte non siamo rientrati a scuola,  subito dopo le vacanze di Carnevale. Ma lo stato d'animo era del tutto diverso da oggi. Da quel giorno, però, il mio tempo ha iniziato a scorrere assai più lentamente, scandito da un nuovo ritmo, senza il suono familiare della campanella di scuola. Scandito da quelle date che hanno spostato il ritorno a scuola sempre più avanti: il 2, il 9, 16, per ultimo il 3 aprile. Ora chissà.
È difficile fare previsioni:
non so e non sono nelle condizioni di sapere se non quello che in queste settimane più o meno tutti sappiamo perché leggiamo, ascoltiamo, ci informiamo. 
 Ora forse è più chiaro per tutti  che  RESTARE A CASA è un dovere verso la nostra nazione.
Ciò che so è quel che  provo, però. Non è solo la paura di ammalarmi o che qualcuno dei miei cari si ammali.
Checché se ne dica in termini di guarigioni, io la paura che il virus venga ad abitare nel mio corpo o in quello dei miei cari  la provo. 
Sto leggendo "Spillover" di David Quammen. E non dico altro.
Ma alla paura è compagna anche una profonda amarezza. Ed è quella che il più delle volte mi  muove al pianto.
Talora mentre mi trovo davanti allo schermo acceso del mio pc a registrare audio lezioni per i miei ragazzi,  accade che m'interrompa perché un nodo in gola mi impedisce di andare avanti. E non è  tanto per ciò che sto dicendo, narrando o spiegando. No. Inevitabilmente la mente viaggia mentre immagino di rivolgermi alla classe: possibile che debba parlare loro senza vederli, mi chiedo?  Che siano talmente distanti da me stavolta da non esserci affatto? Già, perché l'unica distanza che ho sempre misurato, insegnando, è quella che separa la mia cattedra dai loro banchi: io non ne conoscevo altre fino a questo momento. E come me, i tanti colleghi e le tante colleghe della scuola italiana tutta.  Penso alle maestre dell'infanzia e della primaria: di queste ultime, in particolare, mi è capitato di leggere alcune riflessioni scritte sui social di recente. Per loro  è ancora più difficile  interagire con i bambini a distanza: a quell'età il contatto, l'interazione, la voce umana è parte dell'insegnare. Spesso in questi giorni mi è venuta in mente una splendida foto di Bea, maestra di danza di mia figlia, che tempo fa mostrava come  si concludono le  lezioni con le sue piccole ballerine: con un grande abbraccio. E proprio l'altroieri, quando Celeste con il suo tutù svolgeva la sua lezione a distanza, contenta perché la sua maestra "fosse in televisione", grazie alla videolezione inviataci, il  commento finale di mia figlia mi ha riportata a quella foto:
 "Mamma, è anche bello fare lezione così, però manca il finale: l'abbraccio!"
Ieri sera Celeste ha disegnato qualcosa e come talvolta fa, ha voluto che io e suo padre ascoltassimo la storia ispiratale da quel disegno. Ha raccontato perciò di un cane altissimo, con il muso puntato al cielo che gli impediva di vedere chi calpestava tutte le volte in cui si muoveva. E solo un vulcano-che poi divenne suo amico- glielo fece capire: gli bruciò le zampe per fargli abbassare gli occhi e capire cosa ci fosse in basso. Il cane capì allora che non c'era solo lui e che avrebbe dovuto d'ora in avanti fare  molta attenzione. È un suo modo, abbiamo pensato io e suo padre, uno dei tanti, per rielaborare quello che sente e vede intorno a sé da giorni: siamo distanti da tutti perché se stiamo attenti a questa regola non ci ammaleremo e potremo tornare a stare vicini. Gli zii la salutano dalla finestra al momento, perché sono stati in giro per lavoro fino a pochi giorni fa.
E dalla nonna andiamo poco perché ha 88 anni e temiamo per la sua salute. E i compagni, la maestra Silvana? Li videochiamiamo, ci videochiamano: così colmiamo la distanza  rimanendo lontani.
Penso ai miei allievi "terzini" cui  io abbracci in genere non ne do mai, ma ai quali in questo momento lo scrivo di continuo: "vi abbraccio: a questa distanza lo posso fare"♥️
Penso ai miei genitori, alla famiglia di mio fratello, alle mie nipoti, a Vale, la lontananza dai quali non mi è mai pesata tanto come adesso.♥️♥️
Penso ai miei amici: anche con loro accorciamo la distanza chiamandoci spesso. Alcuni sono soli qui perché  arrivano da giù e responsabilmente non sono partiti. Così penso a come si sentano ancora più soli in questo momento. 
Osservo mio marito Luca, che in questi giorni ha smesso di suonare: ed io so che quando la tastiera del suo pianoforte tace, il mio pianista preferito silenziosamente soffre.
Siamo diversi in questo: io esterno, forse anche troppo, lui, invece, troppo poco. 
"Andrà tutto bene" è diventata una frase "antivirale" in questi ultimi giorni: e serve a dirci che tutto passerà.  
Oggi anche noi tre la scriveremo a colori su un lenzuolo bianco, e come già molti hanno fatto, anche noi appenderemo la nostra speranza alla ringhiera del balcone, quello che dà su via Vittorio Veneto. Viviamo lungo una via che reca il nome di una vittoriosa battaglia: quella del 24 ottobre 1918, la riscossa del regio esercito italiano dopo la disfatta di Caporetto. Di lì a poco Armando Diaz annunciò  alla nazione la fine della Grande Guerra, della Prima Guerra Mondiale.
È come una grande guerra anche questa al momento: c'è chi combatte in prima fila, come i medici, gli infermieri degli ospedali di tutta Italia; le forze dell'ordine per le strade. C'è chi non può stare a casa perché il suo ruolo istituzionale glielo impone: i nostri politici. Ci nostri giornalisti che continuano a fare informazione. Il mondo ha gli occhi puntati sul nostro Paese. Tanti turisti amano l'Italia e gli italiani: ed è bello immaginare che adesso tante persone stiano facendo il tifo per noi♥️♥️♥️
"Andrà bene ed io vi voglio bene" è l'ultimo contenuto didattico che ho condiviso ieri sera, con i miei allievi di terza, sulla nostra classe virtuale, prima di addormentarmi. Gliel'ho scritto nella didascalia ad una foto di gruppo dello scorso anno. Eravamo al Salone del libro di Torino il 10 maggio 2019, giorno nel quale il temerario Davide si è messo in coda per strappare un autografo al caro Sepulveda, riuscendoci. Lo scrittore cileno si è ammalato proprio qualche giorno fa, e tutti noi suoi lettori facciamo anche il tifo per lui.
Anzi noi speriamo che Sepulveda torni presto a raccontarci un'altra storia, bella come le tante che ha scritto finora. La mia preferita ha come protagonista una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza. E credo che in questi giorni "lenti" leggerla ci farebbe bene♥️Perché tutti ci sentiamo un po' lumache in questo momento, alla scoperta dell'importanza dell'essere lenti. 
Occorre credere che andrà tutto bene, e che a distanza di tempo, quando questo tempo di distanze sarà finalmente terminato, tutti  saremo anche capaci di raccontare la nostra storia, ognuno a modo proprio. 
Io la mia l'ho voluta già scrivere e ho pensato anche a chi dedicarla. Fa così
"Storia di quella volta in cui ci dicevano che tutto sarebbe andato bene. E così fu." A Louis Sepulveda♥️ e a tutti noi♥️♥️

 

La prima puntata di una bella storia a distanza: la storia di Albert Sabin

La storia che da oggi ascolterete (cliccando sul file audio) e che potrete anche scaricare di seguito (cliccando sul file pdf), è una storia vera: quella del medico scienziato Albert Sabin, che l'autrice Sara Rattaro ha deciso di raccontare come se Albert fosse un topolino. Ascoltate attentamente il primo capitolo, se non avete voglia di leggere, oppure leggetelo da voi (dal file) oppure ascoltatelo prima e rileggetelo poi per rispondere sul vostro quaderno alle domande: grazie a questa storia cercheremo di imparare anche una nuova tecnica di scrittura, quella "metamorfica". Una storia, infatti, anche vera, può  essere raccontata trasformando certi suoi elementi: Sara Rattaro ha raccontato la vera storia di uno scienziato immaginando lui, la sua famiglia e il mondo in cui Albert è nato e cresciuto come fosse un mondo di topolini. Leggerla ci aiuterà a capire come potremmo utilizzare questa tecnica anche noi. Intanto buona lettura e buona comprensione


sabato 7 marzo 2020

Per la classe prima C (anno scolastico 2019-2020) didattica a distanza

Fanciulli e fanciulle della classe prima C
Il post che state visitando accoglierà i lavori che via via inserirò, nel corso della settimana che verrà, e che vi chiedo di visionare/ascoltare e talora eseguire, inviandomene, quando ve lo chiederò, lo svolgimento al mio indirizzo email.
Questo post- che io provvederò ad aggiornare- sarà il nostro canale di comunicazione per il periodo che ci separerà dal rientro a scuola.
Ci faranno compagnia delle storie che- sapete già- hanno tanti poteri: non ultimo quello di farci evadere dalla realtà, di farci viaggiare verso mondi immaginari e mai come adesso ne abbiamo tutti quanti un gran bisogno! Anche perché da questi "immaginari viaggi" torniamo sempre più ricchi: di esperienze, di insegnamenti, di strumenti, di idee...quelle di cui abbiamo sempre tutti un gran bisogno.Ho scelto come inizio del nostro lavoro a distanza un' introduzione al genere fantasy che vi chiedo di ascoltare e di studiare: la voce che sentirete è la mia e la durata del ppt (powerpoint video) è di ...soli 15 minuti. Eccolo



Ci vediamo lunedì per l'inizio di una ...caccia al tesoro a distanza!

domenica 26 gennaio 2020

Le nostre valigie per Auschwitz: cosa ci portiamo per il nostro viaggio della Memoria? Perché "se comprendere è impossibile, conoscere è necessario"

Ogni anno la didattica della Shoah trova lo spazio che merita nella classi dove insegno. Che si tratti di una prima, di una seconda o di una terza media, ritengo che i ragazzi abbiano la necessità di affrontare il loro viaggio della Memoria. Fermarsi per quel giorno, il 27 gennaio, e per qualche altro ancora, e cercare di conoscere, è come  intraprendere un viaggio della memoria, ognuno per sé e tutti insieme. E di strumenti didattici per prepararsi a questo viaggio, di volta in volta adatti alle classi con cui esso sarà affrontato, ce ne sono davvero tanti oggi. 
Prima di descrivere le mie attività di quest'anno, quelle che rispettivamente proporrò ad una classe prima e ad una terza, vorrei riflettere sul perché una didattica della Shoah debba mantenere un suo posto chiaro e riconoscibile tra i nostri banchi di scuola. Ne scrivono in tanti oggi. E ad alcuni di quei tanti che ne scrivono qui si farà riferimento. 
Mi limiterò a citare tre strumenti di cui mi è capitato- e mi capita ancora- di servirmi in classe: uno è  la recente "Lettera ad un dodicenne sul fascismo di ieri e di oggi" (2019) di Daniele Aristarco; gli altri due testi, invece, sono più vecchi ovvero "Che cos'è l'antisemitismo?" (2006) di Lia Levi e "Auschwitz spiegato a mia figlia" (1999) di Annette Wieviorka. I tre testi, per la loro forma - lunga lettera il primo e impianto dialogico gli altri due- si prestano ad avviare e guidare in classe la riflessione su ciò che lega l'oggi e il domani a quel passato cui la Shoah appartiene. Sono testi brevi (di appena un centinaio di pagine), che possono essere letti a voce alta in classe e/o poco alla volta: sono testi che nascono per rispondere a domande o, come scrive Lia Levi nell'introduzione al suo libro, spesso servono a fare luce su certe affermazioni "buie". Nel presentare uno dei tre testi alla classe, che alternativamente uso, mi servo di una metafora cui mi sono affezionata in questi anni e che torno a condividere con i ragazzi per la sua forte efficacia: la metafora del filo
  Pietro Terracina, uno dei sopravvissuti ad Auschwitz, morto da poco, a dicembre del 2019, all'età di 91 anni, scriveva, infatti, che"la memoria non è il ricordo, è quel filo che lega il passato al presente e condiziona il futuro". La Memoria intesa come filo e, pertanto, come legame. Il legame con il passato nasce, infatti, attraverso la conoscenza che nel presente siamo in grado di farne, rendendolo parte di noi, della nostra memoria, della nostra identità, e di conseguenza anche della costruzione del nostro futuro. Si è cittadini migliori se si conosce il proprio passato, ricordava ancora una volta Ferruccio de Bortoli, presidente onorario del Memoriale di Milano,  nella diretta video del 20 gennaio scorso dal teatro Arcimboldi della città. Ed è nel suo libro "Il filo invisibile della Memoria" che qualche anno fa ho letto per la prima volta la frase di Terracina sopracitata e il racconto "Un'infanzia perduta" di Liliana Segre, colei che lunedì scorso sedeva proprio accanto a Bortoli per incontrare da vicino le tante scuole milanesi giunte all'Arcimboldi ad ascoltarla: grazie alla diretta video trasmessa dal sito del Corriere.it, anche chi come noi era lontano ha potuto ascoltare le sue parole. La Segre, da due anni nominata senatrice a vita della nostra Repubblica, con i suoi quasi 90 anni ormai, continua a far incontrare il suo passato alle generazioni presenti, al futuro della nostra nazione. Ed è proprio ascoltandola in quell'occasione, in compagnia della mia collega Paola e delle nostre due classi terze, che ho pensato di nuovo alla forza di quel filo, a come importante sia continuare a legare ad esso e con esso i nostri ragazzi, anno dopo anno a ciò che è stato, alle tante storie di sopravvissuti e non.
Edith Bruck, ungherese di origini ebree, scrittrice e regista, oggi 88 anni, in un'intervista comparsa sabato scorso sull'inserto di Repubblica Robinson, dichiara di avere ancora paura, paura di ciò che sarà. Lei non è  mai tornata ad Auschwitz, dove venne deportata a 12 anni insieme alla madre, al padre, alla sorella e ad altri famigliari nessuno dei quali, eccetto lei, fece più ritorno. Critica verso la lunga retorica delle celebrazioni intorno alla Giornata della Memoria, la Bruck è nello stesso tempo convinta che verranno col tempo distrutte tutte le cose autentiche, com'è successo già al campo di Dachau, dove, dice, si vedono solo 32 numeri per terra al posto delle rispettive baracche.  "(il creamtorio, ndr) lo elimineranno. Cancelleranno con noi la verità, quando l'ultimo dei deportati sarà morto, via libera alla mistificazione. [...] Temo molto il dopo, il "cosa sarà dopo di noi", che già Primo Levi si chiedeva [...] Mi sono laureata con lode ad Auschwitz. Lì si cresce, e si diventa subito vecchi. Ho capito cos'è l'uomo, la vita e la morte. Dopo niente è stato più uguale. Non sono mai stata razzista, non ho mai ucciso neanche una mosca. Non odio. Ho imparato. Però mi stupisco ancora del male". 
Anche la Segre, durante una giornata di studi sul terzo mestiere di Primo Levi, in una sorta di lettera ideale a colui che lei definisce "Amico e Maestro", scritta da questo XXI secolo, usa parole simili a quelle della Bruck:" Caro Primo, Amico e Maestro, neanch'io come te dimentico, neanch'io come te perdono. Ma non odio". 
In una società di haters, online ed offline, partire da queste affermazioni con i nostri ragazzi è importante: la capacità di non odiare e di non istigare nessuno a farlo accomuna i racconti dei testimoni, di quanti sopravvissero per caso all'odio feroce e contagioso di quegli anni, le cui vittime furono milioni. 
Ecco perché leggere, raccontare, ascoltare insieme ai  ragazzi di oggi ciò che dalle voci della Shoah ci arriva è doveroso da parte di noi insegnanti, non tanto per onorare chi non c'è più ma per irrobustire le coscienze verso  ciò che potrebbe  ancora sedurle, oscurarle, occuparle: l'odio razzista. 
Attività classe prima
Un cartone, un libro e 22 valigie di cartone
Lunedì 27 gennaio 
Vedremo con la classe prima il cartone sulle sorelle Andra e Tata Bucci, La stella di Andra e Tati (disponibile su Raiplay, durata 28 minuti). È  la storia di due bambine originarie di Fiume che vennero deportate ad Auschwitz insieme alla loro madre, alla  nonna, alla zia ed al cuginetto loro coetaneo. Al cartone, seguirà la raccolta di una serie di domande che la classe sarà chiamata a formulare relativamente  sia alla storia delle due protagoniste sia alla Storia del periodo in cui si svolsero i fatti. Saranno quelle a cui si cercherà di rispondere in classe attraverso la lettura del libro di Lia Levi, "Cos'è l'antisemitismo?" (mercoledì 29). Quest'ultimo, infatti, è strutturato proprio attraverso brevi capitoli (20 in totale), ciascuno dei quali ha come titolo una domanda a cui nel capitolo si risponde. Il lavoro sul libro sarà fatto per parole-chiave: ai ragazzi sarà consegnato l'indice del libro che contiene l'elenco delle domande rispettivamente poste ad apertura di ciascun capitolo; si chiederà che, alla lettura del breve capitolo da parte dell'insegnante, ciascuno scriva le parole-chiave dello stesso. Le domande, infatti, le parole-chiave delle loro risposte, saranno quanto ciascuno metterà dentro o fuori la propria valigia di cartone, quelle che costruiremo giovedì in classe, grazie all'aiuto della collega di Tecnologia. La valigia preparata e riempita da parole-chiave che verranno fuori dalla conoscenza di una storia, quella di Andra e Tati, e dalla lettura del libro di Lia Levi, simboleggeranno l'inizio del nostro viaggio della Memoria, che continuerà lungo i due anni successivi delle medie. Mi piacerebbe che le valigie trovassero una collocazione fuori dall'aula di chi le avrà costruite e riempite, magari in un angolo dell'atrio o in biblioteca, come piccolo "monumento" dell'inizio di questo viaggio.
Attività classe terza
Gli occhi della Shoah
In terza, invece, a conclusione di un percorso sulla Memoria cominciato in prima, quest'anno affronteremo un lavoro che prenderà in esame la sfera dei ricordi di chi visse rispettivamente la Shoah da bambino, da ragazzo e da adulto. 
Partiremo con la vicenda di Jona Oberski, deportato a circa quattro anni con la sua mamma e il suo papà nel lager di Bergen Belsen, ed unico sopravvissuto: la storia di Jona che lui stesso raccontò a quasi quarant'anni nel libro autobiografico "Anni d'infanzia" (1978), è diventata film grazie al regista italiano Roberto Faenza con il titolo di "Jona che visse nella balena" (1993). I ragazzi assisteranno alla visione del film, sul quale riceveranno la scheda film che io ho preparato e un capitolo-ricordo a testa tratto dal libro. Attraverso una stessa storia che gli allievi conosceranno nel linguaggio cinematografico e grazie al testo narrativo cui il film s'ispira, la classe sarà poi chiamata a costruire l'album d'infanzia di Jona, usando il linguaggio delle immagini e associando ad esse parole-chiave tratte dal capitolo che ciascuno rispettivamente prenderà in esame. La lettura del racconto "Un'infanzia perduta" di Liliana Segre, che gli allievi hanno ascoltato anche dalla viva voce della protagonista  nella diretta video del 20 gennaio, li porterà a costruire un testo della tipologia A prevista per l'esame di Stato. La Giornata della Memoria, la sua istituzione, ma, soprattutto, il racconto di ciò che l'Armata rossa trovò al proprio arrivo ad Auschwitz, sarà oggetto di trattazione attraverso la lettura di un articolo comparso sul Corriere della Sera il 27 gennaio del 2011 a firma di Fabrizio Dragosei e dal titolo "Quando i sovietici liberarono Auschwitz". L'analisi dell'articolo e le riflessioni che ne faranno seguito serviranno a far preparare agli allievi un testo di tipo espositivo/argomentativo sulla tipologia B prevista per l'esame di Stato. Il nostro viaggio della memoria che, quest'anno, ci porterà a visitare Le Nuove di Torino, avrà  quale  ultima e più lunga tappa la lettura di Se questo è un uomo di Primo Levi,  il cui lavoro di analisi sarà oggetto di un post successivamente. 
Tra i testi poetici che i ragazzi leggeranno ed analizzeranno a tema Shoah, infine, vi saranno i seguenti: La farfalla di Pavel; di Primo Levi Shemà, La bambina di Pompei e Cercavo te nelle stelle.
Raccontare la/e Shoah è il titolo di una dispensa storica in sei pagine che, ogni anno, fornisco agli allievi di terza per ripercorrere insieme a loro le tappe di quell'antisemitismo religioso che nato nella tarda età antica, percorre l'età medioevale e moderna e sfocia, nel XX secolo, in azioni politiche ufficiali di alcuni governi, a partire dai pogrom dell'impero zarista e dalla messa in circolo del falso storico de "I protocolli dei savi di Sion" per arrivare alle leggi razziali tedesche e italiane e a ciò che ne seguì. 

sabato 18 gennaio 2020

In un ospedale delle rane, dietro la porta ...

In un ospedale di ranedietro la porta dell'ingresso principale, accoglie i pazienti colei che è diventata, per la sua natura, l'avversario di certe metamorfosi: la Pecora nera...
Potrebbe essere l'incipit di un favola moderna o di un racconto di fantascienza
Oppure, introducendo qua e là qualche altro elemento narrativo e cambiandone altri,  potrebbe diventare  l'avvio di un giallo ad enigma, come il seguente:
Nell'ospedale delle rane, dietro la porta della camera principale, la numero 7, il dottor Raniero, specialista in interventi di metamorfosi indotta, dovette constatare dinanzi al suo peggior avversario, il dottor Straniero, la morte per avvelenamento della Pecora nera... 
In realtà "L'ospedale delle rane", "Dietro la porta", "L'avversario", "Le Metamorfosi" e "La pecora nera" sono i cinque titoli di altrettanti romanzi, che qualcuno avrà probabilmente già individuato e che nulla hanno a che fare con gli incipit ricreati😊...o almeno così pare. 
"L'ospedale delle rane" e "L'avversario" sono i titoli di due romanzi contemporanei rispettivamente nati dalla penna della statunitense Lorrie Moore e da quella del francese Emmanuele Carrere; "Dietro la porta" è un breve romanzo di Giorgio Bassani, invece "La pecora nera" è stato scritto dal polacco Israel Joshua Singer. E per finire "Le metamorfosi" è, di questo breve elenco, la storia più antica visto che è un romanzo latino dello scrittore Apuleio del II secolo d. C.
I cinque titoli si sono ritrovati per caso riuniti dalla mia penna, ieri mattina, in un elenco di libri che stavo ordinando presso il mio libraio, servendomi dell'app  di cui la libreria dispone. Ed è stato proprio mentre li leggevo insieme che i magnifici cinque mi hanno suggerito un'idea ri-creativa. Quale?
Quella di provare a suggerire ai ragazzi il passaggio da un semplice elenco di titoli all'incipit di una storia che quei titoli contenga o da essi venga suggerita. 
È un lavoro, anche questo, che si può proporre in classe in modalità differenti, alcune delle quali ho descritto di seguito.
Primo esercizio 
Al termine dello studio di uno o più generi letterari l'insegnante porta in classe un tot di libri, chiedendo agli allievi, suddivisi preventivamente  in gruppi, di scriverne dei piccoli elenchi (5- 6 titoli al massimo). A partire dagli elenchi redatti si chiederà a ciascun gruppo di generare degli incipit, assemblando i titoli scelti.
 Alla genesi dell'incipit, dentro ciascun gruppo, potrà far seguito l'indicazione del genere letterario che esso a parere del gruppo suggerisce. 
Questo esercizio, pertanto, è proponibile in qualsiasi classe (prima, seconda, terza) quale attività ludico-ricreativa, ma che dia prova  delle conoscenze acquisite dalla classe in merito alle caratteristiche principali dei generi letterari studiati, ai quali la generazione degli incipit dovrà rimandare. Per facilitare il lavoro, inoltre,  si potrebbe mettere  a disposizione di ciascun gruppo, una mappa di riepilogo sulle caratteristiche dei generi letterari studiati e/o un richiamo- un incipit guida ad esempio- a qualcuna delle storie lette che li conduca all'avvio di altre storie con caratteristiche simili. 
Ciascun gruppo, terminato il proprio lavoro, potrebbe poi divertirsi ad assegnare ad un altro gruppo la 
lo svolgimento della storia, a partire dall'incipit ricreato. Questo favorirebbe l'interazione, lo scambio tra i gruppi, generando osservazioni reciproche sui singoli lavori realizzati.
Secondo esercizio
Il secondo esercizio si potrebbe proporre sia in una classe seconda che in terza quale lavoro di riepilogo sulle principali caratteristiche dei generi letterari precedentemente studiati. Oppure anche alla fine dell'anno scolastico in prima o in seconda, quando terminata la trattazione dei  generi letterari previsti dalla programmazione, il riepilogo sugli stessi porterebbe la classe a creare incipit di scrittura al cui svolgimento i singoli allievi potrebbero dedicarsi durante l'estate. 
Si rivelarebbe, a mio parere, interessante fornire loro un elenco ad esempio di cinque/sei titoli, questa volta tutti uguali, e magari  gli stessi di cui proporre la lettura estiva. Qui si potrebbe  suggerire a ciascun allievo la costruzione di un incipit a partire dall'elenco, vincolandolo oppure no alla scelta di un genere.
Terzo esercizio
Quest'ultimo esercizio lo proporrei per animare una mattinata in biblioteca con i ragazzi, rendendola anche  produttiva sul piano della scrittura. Quando (e se 🤔) si portano i ragazzi in biblioteca, quella della scuola o quella civica, opoure perché no, anche dopo l'uscita al Salone del libro, diventa interessante, al termine della scelta da parte di ognuno di uno o più titoli da leggere, far compilare loro una lista comune. Secondo ciò che la messa insieme dei titoli sarà capace di suggerire, ecco che si dirà loro di scrivere incipit che poi svilupperanno. 
Perché le liste possono quasi sempre essere foriere di idee: Umberto Eco, nel 2009, vi dedicò persino un libro bellissimo dal titolo "La vertigine della lista",  in cui il grande semiologo indaga il significato nascosto della lista, esplorando le tante liste che abitano il mondo letterario antico e moderno, ma anche quelle suggerite dalle arti figurative.  
Anche a scuola la "lista" potrebbe, peraltro, essere indagata come genere a sé: e visto che si parla di libri, perché no, magari si potrebbe esplorare insieme qualche "lista proibita", ad esempio parte  del famoso "Indice dei libri proibiti", l'elenco delle letture proibite dalla Chiesa cattolica dal 1559.  E anche su quelli proporre un'attività ricreatrice. 
Per tornare da dove siam partiti, ecco l'incipit suggeritomi dai cinque titoli sopraelencati e da cui l'idea di questo post è nata. Ai miei primini darò l'arduo compito di proseguirlo...
In un ospedale di rane, dietro la porta dell'ingresso principale, accoglie i pazienti colei che è diventata, per la sua natura, l'avversario di certe metamorfosi: la Pecora nera. Da sempre considerata l'elemento del gruppo da redimere, e perciò da cambiare, la Pecora nera pensò un bel giorno di fondare un luogo in cui prendersi cura della "diversità". Come? Nell'unico modo possibile: accogliendola. 
Nell'ospedale delle rane che la Pecora Nera dirige, infatti, la "diversità" d'ogni tipo è soggetta alle attenzioni che fuori non le vengono date. O, purtroppo, sì ma in negativo.
Lì ogni paziente giunge con la propria storia: ognuna "diversa" come chi la racconta, ma tutte sostanzialmente uguali. 
L'idea era venuta alla Pecora Nera proprio il giorno in cui, cacciata per l'ennesima volta dal gruppo delle razziste pecore bianche, la stessa giunse in prossimità di uno stagno. Dentro il piccolo  specchio d'acqua la Pecora notò una scena a lei familiare. Un gruppo di rane panciute era disposto in cerchio intorno ad una grossa ninfea dove la povera Girana stava immobile. Era lei la "pecora nera" dello stagno, e tutti gracidavano in coro il suo nome: "Gi-ra-na, Gi-ra-na..." .Delle rane essa aveva sì la stazza, ma non l'aspetto, che era rimasto invece tale e quale quello di un girino. Una metamorfosi sbagliata, pensò la Pecora Nera osservandola, o solo non del tutto compiuta...
Toccherà ai ragazzi portare avanti la storia da questo punto in poi. Dovranno pertanto fare in modo che  la Pecora Nera e la triste Girana si conoscano; fare in modo che pensino insieme a creare un luogo per loro, un luogo ove tutti imparino a sentirsi uguali pur essendo diversi. Un luogo dove tante altre "pecore nere" come loro giungeranno a raccontare ognuno la propria storia e ad ascoltare quelle degli altri, per imparare a non sentirsi più soli e provare ad  insegnare ad altri che non è chi è diverso a dover essere cambiato, ma chi lo sente come tale♥️

domenica 12 gennaio 2020

Con i ragazzi della via Paal

"I ragazzi della via Paal" è il più noto romanzo ungherese  per ragazzi, che io ho finalmente letto per la prima volta quest'oggi dall'edizione "La Sorgente" del 1965, quella da cui proviene l'immagine di copertina del "ragazzo biondo".
Confesso che non ero mai stata prima d'ora al "campo di via Paal", pur conoscendone da tempo l'esistenza; non avevo mai conosciuto Boka e i suoi compagni da vicino, né le Camicie rosse loro rivali. Tra i romanzi per ragazzi che  ragazza io stessa lessi, "I ragazzi della via Paal" non entrò mai nella lista. Non saprei dire perché: probabilmente perché nessuno mai me lo regalò ritenendola ad errore una  "lettura per soli maschi". E non ricordo neppure che me ne sia mai stata suggerita la lettura a scuola (peccato!). E seppure poi, da grande, abbia più volte pensato di leggerlo fino ad ora non me ne ero curata tanto (ripeccato🤷‍♀️). Il romanzo apparteneva, pertanto, a quella lista di libri di cui  si conosce l'esistenza, si sa per grandi linee di cosa parlano, ma dentro cui non si è mai entrati: de "I ragazzi di via Paal" mi mancavano i particolari, la conoscenza ravvicinata dei suoi abitanti, dei suoi luoghi e dei suoi tempi. 
 E se è  vero che c'è sempre tempo per riparare a certi propri errori, oggi me ne sono finalmente presa un po' per arrivare fino in via Paal (o Pal).
Nato dalla penna dello scrittore ungherese Ferenc Molnar, nel 1907, "I ragazzi della via Paal" conobbe varie edizioni nel nostro Paese: la prima è quella del 1929, quando l'Italia è già sotto le leggi mussoliniane. L'edizione da cui ho letto il romanzo oggi è del 1965, appartiene a mio marito e reca in copertina l'immagine dell'unico ragazzo della banda di via Paal sul quale la voce narrante ci fornisce sin dall'inizio una brevissima descrizione fisica, attraverso un solo aggettivo: "biondo". Il "piccolo biondo" è solo uno, infatti, per il lettore di questo romanzo: il "soldato semplice " Nemecsek, nato per obbedire tanto quanto il quattordicenne  Boka è nato per comandare. Il rapporto tra il soldato e il suo capitano i cui anni sono tanti quanti i ragazzi della banda della via Paal, è fatto di reciproca stima e fiducia: si rivela un legame forte e destinato a crescere lungo la storia. Ed anche a far crescere. Se Gereb, un altro ragazzo della banda, è colui che entra in opposizione a Boka e spinto dalla gelosia tradisce i ragazzi di via Paal con i rivali delle Camicie rosse, Nemecsek è il suo esatto contrario: il piccolo biondo è simbolo di coraggio e di lealtà alla sua banda, alle sue regole ed al proprio capitano. Anche se lui è l'unico sottomesso del gruppo, l'unico a non essere graduato. Somiglia a suo padre, il piccolo biondo, abituato lui e l'altro ad obbedire nonostante tutto. Ma l'indole obbediente di Nemecsek non lo rende solo un sottomesso nella storia, cosa che invece suo padre pare soltanto saper essere: delle virtù dell'esile soldato tutti pian piano si rendono conto, persino i rivali. Anzi loro per primi.
Uno dei principali insegnamenti che si ricava dall'essere avversari, dal combattere su fronti avversi, attraverso questa storia, è il riconoscimento reciproco del valore del proprio nemico e il rispetto delle regole del gioco. La guerra per la difesa del campo di via Paal da parte di Boka e dei suoi, così come quella per la conquista dello stesso campo da parte della banda delle Camicie rosse, è un gioco ma a cui i partecipanti credono seriamente. E alla quale si preparano con strategie di difesa e di attacco che al lettore vengono passo passo descritte. In fondo giocare alla guerra, al combattimento appartiene ad ogni epoca, così come la guerrabquella  vera fa parte di ogni epoca della storia seppure, come ha scritto di recente Maurizio Bettini recensendo un libro sulla guerra, essa sia pensata dagli antichi e dai moderni in modo differente. Quella tra le due bande di via Paal e delle Camicie rosse è  una guerra che, come tale, dovrà essere però combattuta lealmente. Ed è Nemesec da soldato semplice, grazie al suo coraggioso gesto che lo porta ad affrontare da solo le Camicie Rosse, a metà della storia, che insegna agli avversari quanto importante sia il gioco leale. Sarà a quel punto che il traditore Gereb verrà allontanato dalla banda delle Camicie rosse e, con pentimento e vergogna, tornerà poi sui suoi passi. Grazie a Nemesec, infatti, i ragazzi delle Camicie rosse capiranno quanto sleale sarebbe stato da parte loro attaccare il campo di via Paal senza una ufficiale dichiarazione di guerra che, con apposita delegazione, viene pertanto inviata al campo da conquistare. La via Pal è al centro di una guerra fra bande perché rappresenta quello "spazio libero", nel quale ancora i ragazzi vogliono poter giocare. Poiché nella via Pal c'è un largo spiazzo dove fra palizzate e cataste di legname, il gioco può essere praticato: perciò entrambe le bande lo reclamano. Ma alla fine della battaglia, quando persino il "piccolo biondo" muore per la febbre che lo assale dopo il bagno di punizione fattogli fare dalle Camicie rosse, giacché comunque il soldatino ha osato sfidarle facendo irruzione nel loro campo, tutto appare inutile, perché lo spiazzo libero di via Pal scompare: il proprietario l'ha venduto, vi costruiranno un palazzo. E nessuno vi  giocherà più, come a dire che il destino umano è pur sempre la sconfitta anche dopo avere vinto una guerra: Nemecsek che ha combattuto è  morto, il campo è perso. Ma combattere eroicamente vale comunque sempre la pena, perché la vita è sempre un combattimento per ognuno di noi:"un combattimento a volte sereno a volte triste". È questo il pensiero finale di Boka.
C'è avventura, c'è formazione, c'è il gioco con le sue regole scritte e non-perché ogni gioco ne ha- c'è quello che ogni gioco può insegnare. Ci sono i ragazzi, quasi soltanto loro. I pochi adulti che compaiono nel romanzo (il professore che scopre l'anonima Società dello Stucco, lo slovacco del campo, il padre di Gereb, il sarto padre di Nemecsek e il suo cliente) sembrano non far parte del piccolo mondo delle bande, non conoscerne le regole o, come tenta di fare il professore, volerle conoscere per poterle cancellare. 
E alla fine se non il gioco lo spazio per lo stesso viene dall'adulto cancellato, sottratto alla possibilità di farvi ancora giocare i ragazzi. 
I ragazzi di via Paal sono simbolo di un'identità di strada che oggi i nostri sembrano aver perduto: vivono in un'era in cui lo spazio libero del gioco non c'è più o si è spostato prevalentemente ad una realtà virtuale che è la sola nella quale i ragazzi "veramente" si incontrano. Salvo fare parte di squadre per gli sport che alcuni praticano o frequentare l'oratorio. Ma quello delle bande di strade non è più un gioco che si pratica con innocenza oggi.
Le "bande" di cui spesso sentiamo parlare ci fanno purtroppo pensare al loro capitano bullo che nulla ha che fare con il saggio Boka perché il bullo cerca solo l'obbedienza nel tentativo di sopraffare gli altri. Boka, invece, no. Il bullo è lo "sgrammaticato sociale" che non conoscendo le regole del viver comune non le pratica, anzi le scavalca. E Boka non lo è, come non lo è il capitano della squadra avversaria Franco Ats. Quest'ultimo, addirittura, quando scopre dell'episodio delle palline sottratte con prepotenza a Nemecsek ed altri ragazzi della via Paal dai fratelli Pasztor delle Camicie rosse, punisce i due per la loro scorrettezza: non  si prevaricano i più piccoli, dice Ats e i Pasztor accettano la lezione. 
Oggi accade che i ragazzi stentino a riconoscere nell'altro il valore che talora a loro manca: il coraggio, la determinazione, la capacità di farsi scegliere per i propri meriti di capitano di una squadra e non di imporsi agli altri incutendo loro soggezione.
Sarebbe bello in classe provare a confrontarsi con loro, con i ragazzi per comprendere quanto del gioco di squadra e di strada ancora loro sanno. Chi per loro è un " vero capitano". E magari portarli a confrontarsi con i loro padri o i loro nonni, che ragazzi di una via di certo sono stati e qualche insegnamento da trasmettere lo avranno pur ricavato. 
Un'analisi delle copertine delle varie edizioni del libro in Italia, dagli anni '30 ad oggi, sarebbe un altro interessante lavoro da proporre loro, prima di leggere il romanzo e dopo averlo letto. Giacché in casa, in biblioteca, a scuola un'edizione più o meno vecchia di questo libro la si trova, si potrebbe partire con il chiedere ai ragazzi di procurarsela così da provare a fare in classi un'analisi delle scelte grafiche delle case  editrici. Alcune, infatti, scelgono di rappresentare il gruppo se non interamente in parte; altre isolano il "piccolo biondo" o Boka, o riprendono momenti dello scontro o lo spazio del campo o la via.
E infine i personaggi la cui caratterizzazione fisica manca, se non per il "piccolo biondo" come dicevamo all'inizio: essi vengono presentati al lettore attraverso il loro agire quotidiano, all'inizio del romanzo in classe, e successivamente al campo. E la gerarchia del campo vale anche in aula, tant'è che prima della battaglia finale l'eco giunge a scuola e tutti  prendeno a modo loro parte all'evento. Si fa il tifo per i ragazzi della via Paal rispetto ai loro rivali che peraltro provengono da un'altra scuola. 
Solo di alcuni ragazzi conosciamo l'estrazione sociale, ma sempre per brevi accenni al lavoro del proprio padre: c'è il "raffinato" Cselec, il figlio di un medico e il figlio di un avvocato.  Gli unici padri che entrano nella storia sia pure per poco sono il padre di Gereb e quello di Nemecsek. Ed entrambi hanno rispetto ai propri figli somiglianze e differenze.
Il padre del traditore Gereb è un padre giusto che vedendosi arrivare a casa il figlio in lacrime perché accusato di tradimento dai suoi compagni, va da loro non per difendere il proprio figlio, perché è il proprio figlio, ma per sentire se la fondatezza delle accuse che gli sono state rivolte è reale: "io sono un uomo d'onore e non posso tollerare che mio figlio tradisca i suoi compagni".
Ed ancora una volta sarà il piccolo Nemecsek a fare la differenza, discolpando Gereb agli occhi di un padre onorevole. Per rispetto di quel padre.
Il padre di Nemecsek è l'obbediente che, però, a differenza del piccolo figlio non appare mai capace di riscattarsi: non disobbedisce mai neppure quando di là suo figlio sta per esalare l'ultimo respiro ed un cliente disinteressato al suo dolore di padre gli fa fretta perché finisca il suo abito. 
I ragazzi della via Paal hanno uno statuto, possiedono un "libro nero", verbalizzano le loro sedute, svolgono regolari votazioni e altrettanti discussioni: c'è un'applicazione pratica dell'essere gruppo e di come gestirlo. E quando  l'elemento che cerca un riconoscimento altro nel gruppo, non avendolo ottenuto, tradisce, egli perde la fiducia dei traditi e non riesce a guadagnarsi neppure quella della banda cui si vende: se ha tradito una volta, potrà rifarlo ancora. E sebbene torni poi sui suoi passi, la sua condotta resterà sotto osservazione non senza qualche sospetto che continuerà ad affiorare ogni tanto.
Ha senso fare conoscere questo romanzo ai ragazzi di oggi? Io credo di sì e chi è giunto a leggere il post fin qui avrà anche capito perché. ♥️